L’International Archaeological Discovery Award per l’anno 2021 verrà assegnato durante la XXIII edizione della Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico, più precisamente nella seconda giornata, venerdì 26 novembre. Anche il pubblico può contribuire alla vittoria di una delle cinque scoperte candidate mettendo il like nella foto corrispondente nel post dedicato pubblicato sulla pagina Facebook della BMTA.
Fra le cinque candidate c’è una scoperta che in realtà è avvenuta una ventina di anni fa in Germania, ma che è recentemente tornata a far discutere gli esperti per via di due articoli scritti tra settembre e novembre dello scorso anno. Si tratta del cosiddetto Disco di Nebra, una lastra circolare in bronzo del diametro di 32 cm su cui sono applicate decorazioni in oro che raffigurano chiaramente alcuni astri.
La maggior parte degli esperti è concorde nell’affermare che si tratta della più antica ed evoluta rappresentazione del cielo notturno nella storia dell’umanità. Il pomo della discordia fra gli studiosi è il periodo storico a cui far risalire l’oggetto: secondo alcuni sarebbe l’Età del Bronzo, secondo altri l’Età del Ferro.
Il reperto prende il nome appunto da Nebra, una cittadina tedesca della Sassonia-Anhalt nel circondario del Burgenland, che all’inizio degli anni 60 era già stata teatro di un’importante scoperta risalente al Paleolitico Superiore.
Il disco bronzeo è stato ritrovato casualmente nel 1999 da due “cacciatori di tesori” che armati di metal detector si erano recati sulla cima del Mittelberg (un’altura nei pressi di Nebra) in cerca di reperti della Seconda Guerra Mondiale. I due cacciatori, essendosi resi conto di aver ritrovato un tesoro, lo hanno venduto ad un ricettatore che a sua volta lo ha rivenduto ad un collezionista privato per 200.000 marchi.
La svolta è avvenuta nel 2001 quando il soprintendente archeologo della Sassonia-Anhalt, Harald Meller, è venuto a sapere dell’esistenza del reperto e ha organizzato con l’appoggio della polizia elvetica un incontro con il venditore, riuscendo così ad assicurare alla giustizia gli “archeologi abusivi” e a mettere al sicuro il disco di Nebra che dal 2002 è esposto al Museo Statale della Preistoria di Halle, in Germania.
Il disco è stato realizzato in bronzo ed è stato riscaldato molte volte a temperature elevate al fine di evitare la formazione di crepe nel metallo. Questo procedimento aveva dato all’oggetto una colorazione scura, marrone o addirittura nera, ma la lunga permanenza nel terreno ha originato uno strato di malachite di colore verdognolo che è l’attuale colorazione del reperto.
Le decorazioni che rappresentano gli astri sono state realizzate con lamine d’oro e nel corso del tempo sono state modificate. Inizialmente, fra le due figure grandi nella parte centrale che rappresentano la luna piena e la falce di luna crescente è stato inserito un gruppetto di sette stelle che sono indubbiamente le Pleiadi, e tutto intorno sono state sistemate altre 25 stelle. Probabilmente gli artisti/astronomi che hanno creato il disco volevano fissare i due momenti precisi dell’anno (marzo e ottobre) in cui le Pleiadi appaiono ad ovest, perché corrispondevano al periodo della semina e al periodo del raccolto.
In un secondo tempo sono stati aggiunti due archi dell’orizzonte sui bordi destro e sinistro, a simboleggiare l’alba e il tramonto del solstizio invernale e di quello estivo. Infatti, se un osservatore si trovava sulla cima del Mittelberg e puntava il disco in direzione del monte Brocken (il più alto della Germania centrale a un’ottantina di chilometri di distanza) poteva misurare solstizi ed equinozi, dato che il sole durante il solstizio d’estate tramonta proprio dietro il monte Brocken.
Il disco ha subito anche una terza fase di lavorazione durante la quale è stato aggiunto un arco nella parte bassa. Quest’ultima figura non avrebbe una funzione astronomica, ma rappresenterebbe il viaggio notturno del sole. È immediato il parallelismo con la mitologia egizia dove si racconta del viaggio compiuto dal dio-sole Ra a bordo della sua barca durante le 12 ore della notte. Alcuni studiosi hanno ipotizzato uno scambio culturale fra Egitto ed Europa Centrale, ma la maggior parte degli esperti è concorde sul fatto che il disco di Nebra sia il prodotto di una cultura europea e che non abbia nulla a che vedere con le concezioni religiose e astronomiche del Vicino Oriente.
Come si diceva in apertura dell’articolo, il dilemma legato a questo reperto è proprio la sua precisa datazione. Inizialmente si era addirittura ipotizzato che fosse un falso, in seguito alle affermazioni degli avvocati difensori dei due “cacciatori di tesori” nel tentativo estremo di scagionarli dall’accusa di ricettazione.
La datazione all’Età del Bronzo, sostenuta da molti studiosi, è stata messa fortemente in discussione da Rupert Gebhard, direttore della Collezione archeologica statale bavarese a Monaco, e da Rüdiger Krause, professore di storia europea antica all’Università Goethe di Francoforte, che hanno esposto la loro teoria in un articolo uscito lo scorso settembre sulla rivista Archäologische Informationen.
Secondo questi studiosi, il disco non sarebbe stato ritrovato nello stesso luogo degli altri oggetti, ma lo avrebbero portato lì i due “cacciatori di tesori” dopo averlo ritrovato in un altro luogo non ben definito solamente per farlo sembrare più antico e quindi di maggior valore. Un altro dato che sposterebbe in avanti la datazione del reperto è la compresenza delle immagini di luna piena e luna crescente, che farebbe parte di una visione del cielo tipica delle culture europee nell’Età del Ferro.
Il reperto però è stato esaminato a fondo da diversi studiosi: l’archeologo Harald Meller (direttore del Museo Statale della Preistoria di Halle), l’astronomo Wolfhard Schlosser, l’esperto in archeometallurgia Ernst Pernicka e l’archeologa Miranda Green dell’Università del Galles.
In un articolo uscito a novembre sulla rivista Archaeologia Austriaca, Meller e Pernicka hanno confutato la teoria di Gebhard e Krause. Secondo loro, infatti, la fabbricazione del disco andrebbe collocata nell’Età del Bronzo fra il 1700 e il 2100 a.C mentre sarebbe stato sotterrato verso il 1600 a.C., e a conferma di questa teoria ci sarebbero diverse prove scientifiche.
Il disco è stato ritrovato insieme ad altri oggetti, spade di bronzo, due asce, uno scalpello e frammenti di un bracciale a forma di spirale. La datazione con il carbonio 14 fatta su un pezzo di corteccia di betulla trovato nell’impugnatura di una delle spade confermerebbe la sepoltura degli oggetti attorno al 1600 a.C.
Inoltre, l’elevata concentrazione di oro e rame presente nel terreno del ritrovamento sarebbe dovuta al fatto che per molti secoli il disco è rimasto sepolto lì, diffondendo nel suolo alcune sue componenti.
Pernicka e Meller affermano che ci sono numerose prove archeologiche a testimonianza di questi particolari rituali risalenti all’Età del Bronzo durante i quali venivano sotterrati oggetti di vario genere come offerta alle divinità, anche se il motivo di queste offerte è ancora ignoto.
Le analisi sui materiali costruttivi del reperto hanno confermato che il rame usato per il disco proviene dalla miniera austriaca di Mitterberg (vicino a Salisburgo), mentre l’oro utilizzato per gli astri proviene molto probabilmente dal fiume Carnon che scorre nella Cornovaglia.
In questa affascinante vicenda c’è anche un parere tutto italiano, quello di Adriano Gaspani dell’INAF di Brera, uno degli archeoastronomi più esperti del nostro paese. Gaspani ha affermato che è un peccato che il reperto sia stato scoperto da scavi clandestini. Non c’è certezza sulla posizione esatta in cui il disco fu sepolto, e questo ha impedito di verificare eventuali allineamenti astronomici fatti durante il rituale di sepoltura.
In merito al significato e alla funzione del disco, Gaspani ha affermato: “Non sappiamo se fosse un oggetto ornamentale, un oggetto magico-rituale utilizzato durante lo svolgimento di funzioni religiose, un oggetto didattico o altro. Il dato di fatto è che si trattava di un oggetto di valore, lo testimonia l’utilizzo dell’oro per rappresentare gli astri.“
Nel prossimo articolo parleremo della terza scoperta candidata: le pitture rupestri più antiche del mondo nell’isola di Suwalesi in Indonesia.
Sulla base dei confronti vicino-orientali risalenti al terzo millennio a.C., soprattutto dell’area assiro-babilonese, i tre astri principali rappresentano la triade cosmica Sole, Luna (nella sua declinazione maschile) e Venere: cfr. Müller-Karpe 1974, Tav. 96, in particolare. 9. 11. 13, 17, 18.