L’antica chiesa romanica sorgerebbe su una vasta necropoli romana e longobarda, dimenticata sotto centimetri di terreno. Testimonianza sono i materiali di recupero utilizzati nella costruzione della chiesa oggi visibili anche nel magnifico giardino

Reperti all’esterno della chiesa. Credits: Lorenzo Ciotti.

Strati di terra seppellirebbero una vastissima necropoli romana e longobarda dove sorge la splendida chiesa romanica di San Sabino, alla prima periferia di Spoleto. Un’impressionante quantità di materiali di spoglio romani e paleocristiani ne determinano un’età stratificata nel tempo. Lo si vede già dal magnifico giardino intorno alla chiesa: aiuole bordate con materiali di spoglio romani come parti di colonne, pietre levigate e intarsiate con immagini arrivate a noi dopo quasi due millenni. Lo si vede dai sarcofagi nel prato, ricolmi di fiori colorati. Lo si vede dall’abside della chiesa, dove i grandi i blocchi di due metri sorreggono la parte più ancestrale della costruzione. All’interno della chiesa altri resti di colonne di spogli di templi pagani e, nella cripta, blocchi e colonne.

La chiesa fu completata nel XII secolo ma la sua costruzione è molto più antica. Bisogna andare a ritroso nel tempo, fin da quando la leggenda narra che il vescovo Sabino fu trasferito da Assisi a Spoleto e ucciso a bastonate durante le persecuzioni dei cristiani. Sabino venne sepolto nella zona dove oggi sorge la basilica. Già tra il 400 e il 500 d.C. vi fu eretta una prima costruzione, poi successivamente rimaneggiata durante il dominio longobardo e completata definitivamente intorno al 1100. La zona è quanto mai interessante dal punto di vista strategico ed archeologico: si tratta di un incrocio dove passava una delle due diramazioni principali della via consolare Flaminia, che da Spoleto andavano verso l’adriatico tramite il passo della Spina e verso il nord della penisola.

Reperti all’esterno della chiesa. Credits: Lorenzo Ciotti.

La basilica di San Sabino venne edificata proprio a ridosso del vecchio ramo della Flaminia originale. In epoca romana, tutta la zona intorno all’attuale basilica doveva essere stata una vasta necropoli, appena vicina a un centro abitato adorno di edifici e templi, da dove vennero rimossi i materiali di recupero utilizzati per la costruzione della chiesa. Si tratta di un’aera molto vasta: la necropoli oggi è celata ai nostri occhi da strati di terreno, dalla strada e dalla chiesa stessa.

Durante i lavori fatti per il restauro della basilica furono trovati sarcofagi romani e tumuli alla cappuccina. Vi sono anche delle pietre monumentali con varie iscrizioni in latino che testimoniano come la zona fu fiorente in età romana, oggi visitabili presso il museo archeologico di Spoleto. È probabile che la necropoli potesse essere contigua a quella di Piazza d’Armi, qualche centinaio di metri più a sud. Anche li furono trovate pietre lavorate con iscrizioni romane. Non solo: perché a Piazza d’Armi fu riportata alla luce anche la necropoli pre-romana patrizia con reperti di incalcolabile valore archeologico.

Reperti all’esterno della chiesa. Credits: Lorenzo Ciotti.

Era costume, specialmente nella bassa Umbra che i morti venissero tumulati a ridosso della Flaminia. Vi sono molte testimonianze a riguardo in ambedue i rami della strada. La necropoli sepolta di San Sabino andrebbe oltre i confini della chiesa, sconfinando in campi coltivati ma, con molta probabilità, si tratta di una delle necropoli segrete più vaste e ricche del centro Italia. Forse un unicum in continuità con le altre vicine necropoli di Piazza d’Armi e Cortaccione, ormai sparite da secoli sotto una coltre di terra.

La facciata della chiesa. Credits: Lorenzo Ciotti.
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