Visto che oggi si celebra la giornata mondiale dell’ippopotamo voglio omaggiare questa ricorrenza parlando dei bellissimi ippopotami in faience di 4000 anni fa e mettendo in copertina il simpatico esemplare custodito al Metropolitan Museum di New York risalente al 1961–1878 a.C. circa (XII dinastia, Medio Regno).

William, ippopotamo in faience, MET (ph. MET)

E’ tanto carino, vero?!

Questo del MET è solo uno dei circa cento ippopotami che sono stati trovati lungo le sponde del Nilo e che possiamo ammirare nelle varie collezioni sparse un po’ per tutto il mondo… davvero molto grazioso è anche quello del Louvre, mentre quello conservato al Museo Archeologico di Firenze è un po’ più serio e imbronciato e sembra manifestare una maggiore forza… ma ce ne sono di belli anche a Torino, al Cairo, a Londra… e ovunque attirano l’attenzione e fanno tanta tenerezza.

Ippopotamo in faience, Museo Archeologico Firenze (ph. Paolo Bondielli)

L’aspetto apparentemente dolce e benevolo di queste statuette è però in parte ingannevole, in quanto per gli antichi Egizi l’ippopotamo era uno degli animali più pericolosi e dannosi: durante il giorno se ne stava pigramente adagiato vicino ai corsi d’acqua in cui talvolta si immergeva, ma in quel caso diventava un vero pericolo per le imbarcazioni fluviali; durante la notte, in branco, invadeva le terre coltivate e pascolava grandi quantità di vegetali, calpestava e distruggeva ciò che non mangiava inducendo vere e proprie carestie attestate anche nei documenti giunti sino a noi, come ad esempio nel testo conosciuto come “la satira del mestiere del contadino” dove si racconta che la metà delle coltivazioni andava perso proprio a causa degli ippopotami; infine, se irritati, potevano attaccare e uccidere anche gli uomini.

Oltre a essere cacciati, questi grandi pachidermi avevano un ruolo importante nella religione egizia. Nella continua lotta tra l’ordine e il caos, l’ippopotamo, assieme ad altri animali, era assimilato al dio Seth, una delle metafore del disordine, ed era l’antagonista delle liturgie che avevano lo scopo magico di assicurare la vittoria della Maat, l’ordine, su Isfet, il caos.

L’ippopotamo rappresentava una forza della natura che doveva essere controllata ma anche propiziata, sia in questa vita che in quella successiva, quindi, nonostante fossero così temuti, gli antichi Egizi veneravano questi grandi pachidermi come creature benefiche che abitavano le acque sacre del Nilo, acque limacciose e dispensatrici di vita. Erano soprattutto le femmine ad essere identificate spesso come divinità positive e una di queste era senza dubbio Tauret (o Taweret, Toeris…), una dea rappresentata in posizione eretta con testa e corpo di una femmina d’ippopotamo gravida, seni di donna, coda e dorso di coccodrillo e zampe posteriori leonine, la cui figura, quale dea della fertilità, era legata all’inondazione del Nilo e al ruolo di principale protettrice delle donne in gravidanza, perché il parto, allora come oggi, era un momento particolarmente delicato nella vita delle donne.

L’ippopotamo in faience del Louvre (ph. Louvre Museum)

Adorati sin dalla notte dei tempi, la produzione di statuine di mammiferi artiodattili iniziò però nel Medio Regno, dal 2100 a.C. circa. Sulle piccole statue che li rappresentavano (parliamo di 9, max 23 cm di grandezza) venivano dipinti in nero dei motivi legati al loro mondo naturale, quello acquatico. E’ per questo che sulle loro schiene vediamo riprodotti graziosi boccioli di loto, fiori, canne, erbe palustri, rane, uccelli acquatici e insetti, come le aggraziate libellule. Osservando uno qualsiasi di questi graziosi manufatti, grazie anche alle sue rotonde forme azzurre, sembra quasi di vedere un ippopotamo emergere dall’acqua ricoperto da fiori di loto e da altre piante.

Ippopotamo in faience, Museo Archeologico Firenze (ph. Paolo Bondielli)

L’ippopotamo in faience racchiudeva in sé una grande simbologia.

William, ippopotamo in faience, MET (ph. MET)

La realizzazione in maiolica egizia verde o azzurra riconduceva all’idea dell’acqua evocando sia il Nilo dispensatore di vita che le acque primordiali del Nun, da dove, secondo il mito, tutto nasceva. E’ proprio dalle acque del Nun che emerse un bocciolo di loto da cui, una volta aperto, sorse il dio sole bambino che diede inizio alla creazione.

L’ippopotamo era legato al ciclo eterno del sole e per questo associato alla rinascita e alla rigenerazione: con le sue immersioni ed emersioni per respirare ricordava molto il viaggio notturno e diurno del sole. Stessa cosa per i fiori di loto che vediamo dipinti sulla schiena delle statuine che assumevano lo stesso identico significato, poiché questi fiori si chiudono ogni notte per riaprirsi al mattino.

Ippopotamo in faience (ph. Unipi)

Per tutto quello che abbiamo detto, queste creature assumevano una doppia valenza: positiva (propiziando la rinascita) e distruttiva (a volte possiamo trovare ippopotami rappresentati con le fauci spalancate, rigirati su loro stessi, pronti ad attaccare dietro di loro); perciò le loro immagini acquisivano uno speciale potere magico, tale da indurre gli Egizi a deporle come buon auspicio nei corredi funerari, spesso proprio a contatto con le mummie.

Ippopotamo in faience, Museo Archeologico Firenze (ph. Paolo Bondielli)

Essendo però bestie temibili che si potevano incontrare anche lungo i corsi d’acqua nel viaggio ultraterreno, bisognava essere prudenti e prevenire il loro aspetto pericoloso. Sembra che per contrastare questa minaccia le piccole statuine in faience venissero riposte nelle tombe con le gambe spezzate di proposito, proprio per evitare che la creatura potesse fare del male. A volte sulla schiena venivano disegnate anche delle corde così da imbrigliarne la potenza distruttiva. Anche la statuina del MET che mi ha ispirato questo scritto ha tre delle sue zampe restaurate a seguito di questa pratica.

William, ippopotamo in faience, MET (ph. MET)

Una curiosità. Sapete che l’esemplare conservato a New York ha un nome? William! E’ questo il simpatico nome che gli è stato dato nel 1931. William apparve su una vignetta umoristica ripubblicata poi sul Bollettino ufficiale del museo dove una famiglia consultava il pachiderma come un oracolo. Questa storia ebbe un tale successo che da allora l’ippopotamo divenne la mascotte del prestigioso museo.

William faceva parte di una coppia trovata in un pozzo associato alla cappella della tomba dell’amministratore Senbi II a Meir, un sito dell’Alto Egitto a circa trenta miglia a sud della moderna Asyut.

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