Nel 1952, mentre conducevano al pascolo le loro bestie, un gruppo di pastori beduini scoprì una grotta, nelle vicinanze del Mar Morto, la cui entrata si apriva a 15 metri d’altezza nella parete del canyon Nahal Hever. All’interno di questa grotta, una decina d’anni più tardi (1960-61), il celebre archeologo israeliano Yigael Yadin rinvenne 40 rotoli di pergamena e oltre 30.000 frammenti di altri testi, che meritarono al sito il nome di “Grotta delle Lettere”. Nonostante sia certo che una parte dei documenti qui rinvenuti sia stata immessa illegalmente sul mercato antiquario (lo iato tra la scoperta del sito e la sua presa in carico da parte di professionisti dell’archeologia ne ha certamente consentito lo spoglio), la quantità e la varietà di testimonianze scritte restituite dal sito lo rendono un sito tra i più importanti per lo studio dell’archeologia e della storia del popolo ebraico.

L’archeologo, militare e politico israeliano Yigael Yadin. Diresse gli scavi nella Grotta delle Lettere, ma anche di Masada e Hazor

I testi rinvenuti si datano in maniera uniforme al cosiddetto “Periodo del Secondo Tempio di Gerusalemme” (516 a.C.-70d.C.), concentrandosi soprattutto tra I e II secolo d.C.; essi riflettono perciò le condizioni della comunità ebraica durante il periodo di sottomissione all’Impero Romano. Tra questi scritti, abbondano sezioni della Bibbia, fondamentali per filologi e biblisti per capire e interpretare le modifiche ed evoluzioni subite dal testo biblico nel corso dei secoli. Non mancano poi testi di natura giuridico-amministrativa (testamenti, contratti matrimoniali, accordi commerciali, …), che gettano luce sulla vita quotidiana, gli usi e i costumi del popolo ebraico durante il periodo sopra citato. Abbondano poi testi religiosi quali inni e preghiere, estremamente importanti per comprendere la vita e la cultura ebraiche, così intimamente legate alla loro religione.

L’ingresso alla “Grotta delle Lettere”, nel Deserto della Giudea

I documenti certamente più interessanti, tuttavia, sono le decine e decine di lettere, di carattere privato e ufficiale, che delineano nella maniera più chiara e diretta possibile i tratti delle comunità ebraiche nel loro quotidiano. Dalla corrispondenza ufficiale tra i leader di diverse comunità giudaiche (tra cui alcune epistole collegate alla Rivolta di Bar Kokhba, l’ultima grande e sanguinosissima sollevazione del popolo ebraico contro il giogo romano, repressa a viva forza dalle truppe dell’imperatore Adriano), ai carteggi tra autorità locali e governatori romani, fino alle più minute e personali lettere private di persone comuni, questo enorme epistolario, nella sua ecletticità, risulta tra i più preziosi della storia.

Simon Bar Kokhba, rappresentato in un rilievo posto sul moderno palazzo della Knesset (Gerusalemme)

Non solo lettere, tuttavia: nella grotta sono stati rinvenuti molti reperti che ne testimoniano la frequentazione come abitazione o, più probabilmente, rifugio, pensato sia per i pastori nomadi sia, a tratti, per dissidenti in fuga dalle persecuzioni romane. La stessa tesaurizzazione di tutti i documenti sopra citati in questo luogo sembra suggerire che si trattasse di un rifugio segreto rimasto ignoto alle autorità imperiali. Tra questi reperti, recentemente è stato rinvenuto anche un fragilissimo e commovente capo d’abbigliamento: una tunichetta, interpretata come “camicia da notte” dagli esperti, appartenuta a un bambino.

La tunichetta rinvenuta nella Grotta delle Lettere. Credits to Israel Antiquities Authority

Il piccolo indumento, frutto della cucitura artigianale e a volte imprecisa di due lembi di tessuto, uniti con del filo di lino lungo la linea delle spalle e dei fianchi, presenta chiari segni di un lungo utilizzo e buchi dovuti non tanto allo scorrere del tempo, quanto piuttosto all’usura meccanica. Un altro particolare lo rende quasi unico nel suo genere: ai lembi inferiori, parte del tessuto è stato cucito in piccoli nodi, tutti realizzati attorno a un piccolo nucleo di materiali diversi, quali resina, sale, solfato di ferro, henné, semi e altro ancora. Queste piccole “tasche sigillate” sono state interpretate come amuleti, intimamente incorporati alla tunichetta, e questa curiosa caratteristica unita alla tecnica di realizzazione piuttosto grezza e imprecisa ha lasciato intendere che l’abito sia stato realizzato da un non-professionista, forse la madre stessa del bambino, per il suo piccolo, al duplice scopo di vestirlo e proteggerlo dal male. Una dolce e commovente testimonianza di come certe caratteristiche dell’essere umano, come l’amore di una madre per il figlio, travalichi lo spazio, le epoche e le culture.

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