Il professor Tanasi con il modello 3D del vaso di Bes. Crediti: University of South Florida

Una recente scoperta scientifica potrebbe rivoluzionare il nostro modo di interpretare i rituali e le pratiche religiose dell’antico Egitto. Un team di ricercatori internazionali delle Università della South Florida, Milano e Trieste, coordinate dal professor Davide Tanasi, archeologo e direttore dell’Institute of Digital Exploration dell’ateneo americano, ha esaminato un vaso egizio decorato con l’immagine del dio Bes, svelando tracce di sostanze psicoattive e tracce biologiche. Questa ricerca, pubblicata su Nature Scientific Reports, non solo conferma l’uso di piante allucinogene in riti magici, ma getta anche nuova luce sulla spiritualità egizia, rivelando un intreccio profondo tra medicina, magia e divinità.

I vasi decorati con l’immagine di Bes sono stati rinvenuti in diversi siti archeologici egiziani e sono stati utilizzati per un lungo periodo, sebbene il loro scopo esatto non fosse stato finora del tutto chiaro. Bes, divinità rappresentata come un nano, era una figura protettrice legata alla fertilità, alla nascita, all’infanzia, alla musica e alla danza. Particolarmente associato alla protezione durante il parto, Bes aveva il compito di scacciare i demoni della morte in un momento tanto delicato. Era quindi venerato dalle donne in gravidanza, prossime al parto o durante la fase di allattamento. Un’ipotesi sull’uso dei vasi decorati con il suo volto suggerisce che questi contenessero bevande rituali, latte o acqua sacra, con una funzione apotropaica, ovvero per allontanare le forze maligne.

Vaso da bere a forma di testa di Bes; Oasi di El-Fayūm, Egitto; periodo tolemaico-romano (IV secolo a.C. – III secolo d.C.), (cortesia del Tampa Museum of Art, Florida); (b) Tazza di Bes dalla collezione Ghalioungui, 10,7 × 7,9 cm (Ghalioungui, G. Wagner 1974, Kaiser 2003, cat. n. 342); (c) Tazza di Bes inv. n. 14.415 dal Allard Pierson Museum, 11,5 × 9,3 cm (cortesia dell’Allard Pierson Museum, Amsterdam; foto di Stephan van der Linden); (d) Tazza di Bes da El-Fayum, dimensioni sconosciute (Kaufmann 1913; Kaiser 2003, cat. n. 343). Crediti: Tanasi et alii, Multianalytical investigation reveals psychotropic substances in a ptolemaic Egyptian vase 2024/ nature.com

L’analisi chimica di uno di questi vasi, conservato al Tampa Museum of Art (Florida), ha rivelato un contenuto ben più complesso di quanto ipotizzato finora. Al suo interno, infatti, sono stati identificati diversi composti psicoattivi e curativi, suggerendo un uso rituale sofisticato e legato a esperienze mistiche. In particolare, sono state trovate tracce di sostanze provenienti da piante psicoattive come il Peganum harmala, noto anche come “rue siriana” o “harmel”, e la ninfea blu (Nymphaea caerulea). Il Peganum harmala contiene alcaloidi come la harmalina e la harmina, noti per i loro effetti allucinogeni e utilizzati in riti di divinazione, mentre la ninfea blu ha alcaloidi come la nupharidina e la neferina, che inducono effetti sedativi e narcotici. Le analisi hanno inoltre rivelato la presenza di acidi grassi poliidrossilati e acido pinolenico, suggerendo l’uso di oli vegetali, come quelli derivanti dai pinoli, e di una bevanda alcolica, probabilmente a base di frutti fermentati come uva o melagrana. Questi ingredienti, insieme alle sostanze psicoattive, suggeriscono un rituale che coinvolgeva una vera e propria immersione sensoriale.

Inoltre, sono state individuate proteine umane, tra cui tracce di latte materno e mucose, indicando che durante la preparazione del liquido rituale venivano utilizzati fluidi corporei. Questo potrebbe aver avuto una funzione simbolica, magari per potenziare l’efficacia del rituale o per attuare un atto di purificazione. Anche il miele, con le sue proprietà nutritive e spirituali, contribuiva alla miscela del preparato, potenziando l’esperienza rituale.

Le piante menzionate, insieme a ingredienti come miele, sesamo, pinoli, uva, latte materno e mucose, costituivano una miscela complessa che probabilmente veniva impiegata per creare bevande rituali destinate a evocare visioni profetiche e stati alterati di coscienza. Il liquido contenuto nel vaso, che appariva simile al sangue, potrebbe aver avuto un ruolo cruciale nei cerimoniali di fertilità e protezione, specialmente durante il parto.

Il professor Tanasi mentre realizza il modello 3D del vaso di Bes. Crediti: University of South Florida

“Questa ricerca ci offre importanti indicazioni sui rituali magici nel periodo greco-romano in Egitto”, ha dichiarato Branko Van Oppen, curatore della sezione di arte greco-romana presso il museo di Tampa. “Gli egittologi ritengono che le persone si recassero nelle cosiddette Camere di Bes a Saqqara quando desideravano confermare una gravidanza riuscita, poiché le gravidanze nell’antichità erano piene di pericoli. Pertanto, questa combinazione di ingredienti potrebbe essere stata utilizzata in un rituale magico volto a indurre visioni oniriche, nell’ambito di quel periodo rischioso legato al parto”.

“La religione è uno degli aspetti più affascinanti e misteriosi delle civiltà antiche”, ha aggiunto Tanasi. “Con questo studio, abbiamo trovato una prova scientifica che conferma che i miti egiziani contengono una sorta di verità. Ciò ci aiuta a fare luce sui rituali poco compresi che probabilmente venivano praticati nelle Camere di Bes a Saqqara, vicino alle Grandi Piramidi di Giza”.

Replica 3D al computer. Crediti: University of South Florida

Questa scoperta dimostra come la religione egizia fosse un sistema complesso in cui culto, preghiere, pratiche rituali magiche, medicina e spiritualità si combinavano coinvolgendo corpo, mente e spirito, laddove gli dei erano capaci di intervenire direttamente nelle questioni più cruciali della vita.

In conclusione, l’analisi avanzata di questo vaso ha aperto nuove prospettive sulle pratiche religiose egizie, suggerendo che i rituali di fertilità, protezione e divinazione fossero ben più sofisticati e integrati nella vita quotidiana di quanto si fosse immaginato. La ricerca ci aiuta a comprendere meglio come gli antichi Egizi percepivano gli dèi come forze viventi e operative, intervenendo nei momenti più critici dell’esistenza umana.

Ricostruzione in 3D del vaso di Bes 

Fonti: Tanasi et alii, Multianalytical investigation reveals psychotropic substances in a ptolemaic Egyptian vase, 2024

USF professor confirms Egyptians drank hallucinogenic cocktails in ancient rituals

Advertisement
Articolo precedenteIl tempio di Deir el-Hagar nell’oasi di Dakhla
Prossimo articoloNascita della scrittura: scoperta eccezionale dell’Università di Bologna
Chiara Lombardi

Laureata in Archeologia Orientale presso l’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale” con una tesi magistrale in Archeologia Egiziana dal titolo “Iside nei testi funerari e nelle tombe del Nuovo Regno: iconografia e ruolo della dea tra la XVIII e la XIX dinastia” (2013), ha conseguito un master di primo livello in “Egittologia. Metodologie di ricerca e nuove tecnologie” presso la medesima Università (2010-2011). Durante il master ha sostenuto uno stage presso il Museo Egizio de Il Cairo per studiare i vasi canopi nel Nuovo Regno (2010). Ha partecipato a diversi scavi archeologici, tra i quali Pompei (scavi UniOr – Casa del Granduca Michele, progetto Pompeii Regio VI, 2010-2011) e Cuma (scavi UniOr – progetto Kyme III, 2007-2017). Inoltre, ha preso parte al progetto Research Ethiopic language project: “Per un nuovo lessico dei testi etiopici”, finanziato dall’Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente e dal progetto PRIN 2005 “Catene di trasmissione linguistica e culturale nell’Oriente Cristiano e filologia critico testuale. Le problematiche dei testi etiopici: testi aksumiti, testi sull’età aksumita, testi agiografici di traduzione” (2006-2007). Ha collaborato ad un progetto educativo rivolto ai bambini della scuola primaria per far conoscere, attraverso sperimentazioni laboratoriali, gli usi e i costumi dell’antico Egitto e dell’antica Roma (2014-2015). È stata assistente di ricerca presso la Princeton University (New Jersey) per “The Princeton Ethiopian, Eritrean, and Egyptian Miracles of Mary digital humanities project (PEMM)” (2020-2021). Ricercatrice indipendente, attualmente è anche assistente di ricerca per il Professor Emeritus Malcolm D. Donalson (PhD ad honorem, Mellen University). Organizza e partecipa regolarmente a diverse attività di divulgazione, oltre a continuare a fare formazione. Collabora con la Dott.ssa Nunzia Laura Saldalamacchia al progetto Nymphè. Archeologia e gioielli, e con la rivista MediterraneoAntico, occupandosi in modo particolare di mitologia. Appassionatasi alla figura della dea Iside dopo uno studio su Benevento (Iside Grande di Magia e le Janare del Sannio. Ipotesi di una discendenza, Libreria Archeologica Archeologia Attiva, 2010), ha condotto diversi studi sulla dea, tra cui Il Grande inno ad Osiride nella stele di Amenmose (Louvre C 286) (Master di I livello in “Egittologia. Metodologie di ricerca e nuove tecnologie”, 2010); I culti egizi nel Golfo di Napoli (Gruppo Archeologico Napoletano, 2016); Dal Nilo al Tevere. Tre millenni di storia isiaca (Gruppo Archeologico Napoletano, 2018 – Biblioteca Comunale “Biagio Mercadante”, Sapri 2019); Morire nell’antico Egitto. “Che tu possa vivere per sempre come Ra vive per sempre” (MediterraneoAntico 2020); Il concepimento postumo di Horus. Un’ analisi (MediterraneoAntico 2021); Osiride e Antinoo. Una morte per annegamento (MediterraneoAntico 2021); Culti egiziani nel contesto della Campania antica (Djed Medu 2021); Nephthys, una dea sottostimata (MediterraneoAntico 2021). Sua è una pubblicazione una monografia sulla dea Iside (A history of the Goddess Isis, The Edwin Mellen Press, ISBN 1-4955-0890-0978-1-4955-0890-5) che delinea la sua figura dalle più antiche attestazioni nell’Antico Regno fino alla sua più recente menzione nel VII d.C. Lo studio approfondisce i diversi legami di Iside in quanto dea dell’Occidente e madre di Horus con alcune delle divinità femminili nonché nei cicli osiriaco e solare; la sua iconografia e le motivazioni che hanno portato ad una sempre crescente rappresentazione della dea sulle raffigurazioni parietali delle tombe. Un’intera sezione è dedicata all’onomastica di Iside provando a delineare insieme al significato del suo nome anche il compito originario nel mondo funerario e le conseguenti modifiche. L’appendice si sofferma su testi e oggetti funerari della XVIII dinastia dove è presente la dea.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here