“Luqsor 20 febbraio 1906
A Sua Eccellenza
Il Ministro della Pubblica Istruzione
Roma
Eccellenza,
mi è sommessamente grato il comunicare a V.E. che, dopo alcune settimane di permanente lavoro nella parte della necropoli tebana che è designata sotto il nome di Deir-el-Medina, questa missione scoperse una scala scavata nella montagna e che scendeva profondamente nella medesima e dava accesso a una tomba intatta.”

Inizia così la lettera che Ernesto Schiaparelli inviò all’allora ministro della Pubblica Istruzione per comunicargli di aver scoperto una tomba intatta nel Villaggio degli Operai, quel luogo che per circa cinque secoli ospitò le eccellenze professionali del tempo, l’élite degli artigiani e degli artisti. Furono loro a realizzare le tombe presenti nella Valle dei Re, delle Regine e le proprie sepolture nei pressi del Villaggio dove abitavano, che sono in grado di rivaleggiare per certi versi con quelle dei loro sovrani.
La tomba intatta a cui fa riferimento lo Schiaparelli è quella dell’architetto Kha e di sua moglie Merit il cui corredo funerario, compresi i sarcofagi e le mummie dei due proprietari, è tra i principali protagonisti della straordinaria collezione custodita presso il Museo Egizio di Torino.
Lo studio dei materiali e dei documenti ha rivelato agli studiosi che Kha operò durante i regni di ben tre sovrani: Amenhotep II, Thutmosi IV e Amenhotep III, per cui è stato possibile stabilire che visse intorno al 1400 a.C. circa.
La tomba fu scoperta esattamente il 15 febbraio del 1906 dalla Missione Archeologica Italiana diretta dallo stesso Schiaparelli e le fu attribuita la sigla identificativa TT8 (Theban Tomb n.8), anche se la relativa cappella era già stata individuata molto tempo prima.
La particolarità di questa sepoltura infatti, consiste proprio nel non essere stata realizzata nelle immediate vicinanze della cappella riservata al culto del defunto, ma ad una certa distanza da essa, vanificando così i tentativi di furto da parte dei ladri profanatori di tombe. Si tratta probabilmente di un’astuzia dello stesso Kha, che essendo egli stesso un costruttore, doveva sapere che i furti dei corredi funerari erano una realtà presente già da molto tempo nella terra dei faraoni.
Grazie a questo accorgimento messo in atto dal geniale architetto e all’allestimento realizzato nelle nuove sale del Museo Egizio di Torino, il visitatore può oggi immergersi nella vita quotidiana dell’antico Egitto, osservando dal vivo molte delle suppellettili utilizzate in quel tempo, i cibi, le stoffe, i contenitori realizzati in forme e materiali diversi a seconda del loro uso e persino gli strumenti di lavoro di Kha, il cui mestiere può essere assimilato a quello di un architetto dei giorni nostri. Tra gli oggetti presenti sono di grande interesse un strumento di misura davvero eccezionale, un cubito in legno ricoperto in lamina d’oro omaggio del faraone Amenhotep II a Kha e il senet, un gioco con pedine e scacchiera le cui regole non ci sono pervenute appartenuto a Merit.

E in ultimo, come ogni egizio sperava, grazie a questi felici eventi – ma grazie anche ad Ernesto Schiaparelli e alla Missione Archeologica Italiana – il nome di quest’uomo e di sua moglie viene ancora oggi ricordato e pronunciato a 3500 anni dalla sua morte, perpetrando in qualche modo quel culto per il quale i due coniugi avevano investito una parte ingente del loro patrimonio.