Pur se nella società romana il matrimonio e la maternità erano considerati lo scopo principale di una donna, le donne romane e nello specifico anche a Pompei conducevano, incredibilmente per l’epoca, una vita che permetteva loro di partecipare a molti momenti sociali della città e di svolgere attività che oggi noi chiameremmo “imprenditoriali”. Sfatando il falso mito dell’ignoranza femminile molte donne, e non solo quelle dei ceti elevati, ricevevano una certa istruzione che non si limitava solamente alla formazione di base. Già a partire dal IV secolo a.C. dovevano essere presenti centri “pubblici”, gestiti da maestri itineranti, a cui potevano accedere sia ragazzi che ragazze che non potevano permettersi precettori privati, così come invece si usava nelle famiglie benestanti. Le guerre che durante il periodo repubblicano avevano insanguinato Roma e l’Italia, decimando la popolazione maschile, avevano inoltre permesso a molte donne un cambiamento netto nei modi di vivere e nella gestione della propria vita; molte, per esempio, si trovarono ad accumulare una certa ricchezza ereditata alla morte del marito, cosa impensabile per una donna inserita precedentemente nel contesto giuridico del pater familias. Conoscere la condizione femminile nel mondo romano (e nello specifico a Pompei, che ci restituisce uno spaccato di vita quotidiana eccezionale rispetto ad altri siti), ci porta inevitabilmente a contestualizzare il problema in uno specifico campo storico-giuridico fatto di fonti scritte che non si rivolgono specificatamente a Pompei, ma a cui la città vesuviana si riferiva per esprimere un certo “modello”.