Doria Shafik e i diritti delle donne

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Estratto da MediterraneoAntico Magazine, Anno 2015, Numero 1

Doria Shafik (1914-1976), egiziana, fu una coraggiosa e determinatissima pioniera dei diritti delle donne, in special modo di quelli politici. Cresciuta in una famiglia che le trasmise l’amore per l’Occidente, la giovane Doria crebbe credendo nell’inferiorità culturale dell’Islam rispetto a esso e con un sogno: studiare alla Sorbona. Rimase orfana di madre a soli undici anni, ma il padre, da sempre convinto delle sue capacità, la incoraggiò a realizzare i suoi desideri, pur non avendo i mezzi per farla studiare all’estero.

Fu proprio lui a suggerire a Doria di chiedere aiuto a Hoda al- Sha’rawi e, grazie a quest’ultima, la giovane conseguì il dottorato alla Sorbona. Nella sua lunga carriera fu insegnante, ispettrice dei corsi di francese per conto del Ministero dell’Istruzione e giornalista. Quest’ultimo ruolo è quello che ci permette di conoscere il suo pensiero e la sua audacia. Doria Shakif, infatti, fondò ben tre riviste, tra cui “Bint al-Nil (Figlia del Nilo, fondato nel 1945 e chiuso nel 1957 da Nasser). Nel 1948 fondò l’Unione delle Figlie del Nilo, iniziando a battersi per i diritti e l’emancipazione delle donne. Il 1951 l’organizzazione compì un gesto eclatante, disturbando la seduta parlamentare per tre ore e arrivando a occupare il Parlamento stesso, finché i presidenti delle Camere non promisero di prendere in considerazione le richieste delle donne. Tale azione ebbe come conseguenza immediata il disprezzo e lo sdegno dell’ala conservatrice, per cui il posto delle donne era in casa, in qualità di mogli e di madri e con un velo sul volto a coprirne l’impudenza. L’Unione delle Figlie del Nilo, tra l’altro, poteva contare su una sorta di “braccio paramilitare”, come lo definisce Leila Ahmed nel suo saggio “Dietro il Velo”.

La Donna nell’Islam da Maometto agli ayatollah”, che sostenne i disordini e gli scioperi a cui gli inglesi reagirono fino a occupare il Cairo e assaltare la sede della polizia egiziana. Il bilancio dell’attacco britannico fu gravissimo: più di cinquanta morti e moltissimi feriti. Nel frattempo Doria Shafik fece della lotta all’occupante straniero il suo “cavallo di battaglia” insieme alla richiesta dell’emancipazione femminile, che avrebbe dovuto seguire di pari passo quella della nazione. Gli avvenimenti che seguirono sono noti: la rivolta degli Ufficiali Liberi nel 1952, la fine della monarchia, l’esilio di re Faruk, la messa al bando dei partiti politici l’anno seguente e il tentato omicidio di Nasser ad opera di un membro dei Fratelli Musulmani.

Il 1956 fu, invece, l’anno della nazionalizzazione del Canale di Suez, che portò all’invasione britannica dell’Egitto, coadiuvata dall’esercito israeliano e da quello francese e della promulgazione della nuova Costituzione. Doria Shafik, insoddisfatta della composizione, tutta maschile, dell’assemblea costituente che doveva lavorare alla stesura della Carta costituzionale, iniziò uno sciopero della fame nel 1954; era certa che l’assenza delle donne, in un momento tanto importante per il futuro dell’Egitto, avrebbe pregiudicato il loro cammino verso l’emancipazione.

La Costituzione garantì il diritto di voto alle donne, ma solo a quelle che lo richiedevano. Indignata, la femminista annunciò un altro sciopero della fame, a cui diede ampia risonanza mediatica, come aveva fatto la prima volta e si rifugiò nell’ambasciata indiana. Fu l’inizio della fine per lei: le altre attiviste le imposero di dimettersi, la denunciarono come traditrice e Nasser ne approfittò per farle chiudere l’associazione, il giornale e metterla agli arresti domiciliari. Doria Shafik, insomma, si inimicò il regime con il suo atteggiamento sprezzante e sopra le righe, mostrando tutto il suo rancore verso Nasser, molto amato dal popolo. La denuncia per tradimento, così come l’imposizione di dimettersi, era dettata dalla paura di una donna audace, che rischiava di creare problemi e sovvertire un sistema rigido e soffocante, ma molto potente. Doria Shafik fu una donna tormentata, forse i suoi gesti nascondevano insicurezza e la mancanza della necessaria “freddezza” per gestire rapporti sociali e politici.

Fu una femminista entusiasta e coraggiosa, una scrittrice dal pensiero profondo, e un’intellettuale audace. Non aveva un’indole portata per la politica e, con ogni probabilità, questa lacuna non le permise di valutare i pericoli e aggirare gli ostacoli. Nel suo cuore la cultura occidentale e quella islamica combatterono fino a distruggerla, a disintegrarne la personalità e la psicologia, portandola all’esaurimento nervoso. Il suo comportamento “oscillante” tra le radici islamiche e il desiderio di Occidente fu, forse, una delle conseguenze della colonizzazione, benché tale argomento non debba essere generalizzato, né strumentalizzato e meriti un’analisi approfondita dal punto di vista storico, sociale, politico e religioso.

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