La più antica rappresentazione di Re Artù

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E se Re Artù, il leggendario condottiero britannico protagonista di ballate e storie medievali, al termine delle sue avventure fosse sceso a rifugiarsi proprio in Italia?

Secondo un racconto dell’inglese Gervase di Tilbury, che lo incluse nei suoi Otia Imperialia del XII secolo, un cavallo del vescovo di Catania si perse un giorno sulle pendici dell’Etna. Il servo che lo andò a cercare scoprì nelle viscere del vulcano un palazzo meraviglioso, dove Artù giaceva ferito in seguito alla battaglia con Mordred, il traditore suo nemico.

Suona strano pensare che Artù fosse finito addirittura in Sicilia? Ebbene, esiste anche una poesia, di un anonimo autore duecentesco, che si firmava “Gatto Lupesco”, che rappresenta un’ulteriore testimonianza circa la presenza del sovrano sull’isola: “Cavalieri siamo di Bretagna, ke vegnamo de la montagna, ke l’omo appella Mongibello. Assai vi semo stati ad ostello per apparare ed invenire la veritade di nostro sire lo Re Artù, k’avemo perduto e non sapemo ke sia venuto. Or ne torniamo in nostra terra ne lo reame d’Inghilterra.”

Artù si era perduto, insomma, e i suoi cavalieri erano saliti a cercarlo fin sulle pendici di Mongibello, l’altro nome dell’Etna, il più alto vulcano attivo d’Europa che si trova, guarda caso, proprio in Sicilia.

Di antiche “tracce” italiane legate ad Artù, però, se ne rinvengono anche presso altre città della penisola. La più interessante e suggestiva è indubbiamente quella che si trova a Modena, sull’archivolto della Porta della Pescheria del Duomo.

Nel bassorilievo è raccontato l’assalto a un castello, fortificato e circondato da una barriera d’acqua, dove la bella Winlogee (Ginevra) è tenuta prigioniera dal perfido Mardoc. Vi sono tre cavalieri armati che giungono simmetricamente dai due lati in direzione del castello. Sulla cornice dell’archivolto si trovano incisi i loro nomi: Galvaginus, Che, Isdernus e, naturalmente, Artus de Bretania. Quest’ultimo, ovviamente Artù, è quello che guida la missione di soccorso che dovrà portare in salvo Winlogee.

Databile intorno al 1110 e il 1130, il bassorilievo rappresenta probabilmente la più antica raffigurazione del ciclo arturiano sul continente europeo, precedente addirittura la stesura della Historia Regum Britanniae, opera del 1135 del chierico gallese Goffredo di Monmouth e generalmente considerata l’inizio della saga narrativa di Artù.

Ne consegue che il racconto del salvataggio di Ginevra deve essere giunto in Italia in forma orale, per il tramite di narratori franco-bretoni. Inoltre, ulteriore elemento interessante, è il fatto che qui Artù non è indicato come sovrano. Questo avvalla ulteriormente l’ipotesi che il racconto è giunto in Italia, e a Modena in particolare, in forma orale prima che scritta, dato che è solo con la Historia di Goffredo che si inizia a definire Artù un sovrano: prima era solamente un condottiero.

Un’altra raffigurazione italiana di poco posteriore l’Historia, è il mosaico pavimentale della cattedrale di Otranto, databile tra il 1163 e il 1165, dove Artù è raffigurato a cavallo di una capra, con la corona in testa e lo scettro in mano, ma soprattutto accanto a sé è presente l’inequivocabile dicitura Rex Arturus. Curioso anche il fatto che, sempre in Puglia, presso la Basilica di San Nicola a Bari, è presente un secondo archivolto, sulla Porta dei Leoni, in cui è raffigurata una scena di cavalieri, in perfetto “stile arturiano”, che ricorda molto da vicino quella di Modena, di poco più vecchia.

Naturale, allora, chiedersi come mai si sia deciso di utilizzare un racconto “profano”, come la leggenda di Artù, per decorare luoghi di edifici sacri cristiani. La risposta va ricercata nel fatto che la Chiesa è la casa di Dio e, come tale, accoglie coloro che hanno contribuito a edificarla, compresi sovrani reali, come Clodoveo e Carlo Magno, o immaginari, come Re Artù. Quale simbolo della cavalleria, dunque, Artù finisce così per essere arruolato dal cristianesimo quale “testimonial” delle Crociate nel Vicino Oriente, fosse per ritrovare il Graal o per sottrarre al dominio islamico la Terra Santa.

Questo testo è tratto da “Atlante dei luoghi misteriosi d’Italia” di Massimo Polidoro.
Massimo percorre la penisola alla ricerca di luoghi misteriosi svelando i retroscena di fenomeni in apparenza non scientifici e smontandone i miti nati dalla fantasia popolare.

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