La piana del Sele rappresenta una delle più importanti aree archeologiche dell’Italia meridionale e comprende la colonia greco-lucana di Poseidonia/Paestum e i siti etrusco-italici dell’area picentina di Pontecagnano e Fratte. Lo studio della cultura materiale, in particolare dei manufatti ceramici, ha sempre interessato gli studiosi fornendo importanti indizi sul sistema interculturale e socio-economico di quest’area, principalmente attraverso la definizione delle caratteristiche stilistiche e tipologiche delle più importanti produzioni ceramiche.
Poco finora è però conosciuto riguardo alle attività produttive delle officine ceramiche di questa importante colonia della Magna Grecia confinante con i territori etrusco-italici. Quali cave d’argilla rifornivano di materie prime le officine delle città e dei santuari periurbani? Quali erano gli accorgimenti tecnologici che conferivano qualità ed estetica ai vasi?
Questi aspetti saranno i punti focali di discussione del workshop che si terrà l’8 giugno presso il Museo Archeologico di Paestum, dove saranno presentati i primi risultati di un ampio progetto di ricerca finanziato dal Fondo di Ricerca austriaco FWF (Austrian Science Fund) nell’ambito del programma “Lise Meitner”. Il progetto sviluppato da Alberto De Bonis e Verena Gassner, vede coinvolti archeologi e geologi di istituzioni austriache (Universität Wien, Universität für Bodenkultur Wien) e italiane (Parco archeologico di Paestum, Museo archeologico nazionale di Pontecagnano, Università degli Studi di Napoli Federico II, Università degli Studi di Salerno, Università degli Studi del Sannio). L’idea di questo progetto nasce nell’ambito di un filone di studi pluriennale e interdisciplinare sulle produzioni ceramiche campane, tuttora in corso presso le Università Federico II di Napoli e del Sannio in collaborazione con vari archeologi.
Nel corso del progetto sono stati analizzati oltre 350 frammenti di ceramica ritrovati a Paestum, nelle aree sacre del territorio pestano e nei siti di Pontecagnano e Fratte e inquadrabili in contesti cronologici (dal VII al III sec. a.C ) e tipologici ben definiti. L’approccio analitico ha visto l’utilizzo di tecniche atte a mettere alla luce ogni singolarità dei frammenti ceramici dal tipo di inclusi alle temperature di cottura. Questo grazie all’ausilio di strumentazioni scientifiche a disposizione dei laboratori italiani e austriaci. Questo approccio rappresenta, come ormai validato dai due decenni di ricerche nei siti archeologici della Campania, un utile strumento per circoscrivere la provenienza dei manufatti, individuarne le rotte di circolazione, l’evoluzione tecnologica e comprenderne gli aspetti tecnologici attraverso il tempo.
Tali problematiche non possono però prescindere da una conoscenza approfondita del territorio che include i siti di produzione e le risorse geologiche a disposizione, per questo motivo il progetto ha interessato anche i banchi di argilla affioranti nella Piana del Sele, contesto geologico ricco di risorse ma caratterizzato da una storia geologica (e archeologica) complicata.
I primi risultati estrapolati dai numerosi dati a disposizione hanno permesso di distinguere chiaramente le due aree di produzione, quella pestana e quella picentina, in relazione alle caratteristiche litologiche e mineralogiche delle materie prime affioranti nei due distretti produttivi.
In area picentina è interessante il caso della ceramica comune, ricca di inclusi vulcanici. Gli stessi inclusi che sono caratteristici della ceramica dei centri produttivi della Baia di Napoli come Pompei o Napoli. Inoltre, le evidenze analitiche sembrerebbero confermare lo sfruttamento dei depositi che affiorano estesamente nell’area compresa fra Salerno e l’area picentina, gli stessi che ancora oggi vengono sfruttati per produzioni ceramiche e che avrebbero rifornito in passato le officine pompeiane fino alla catastrofica eruzione del 79 d.C.
WORKSHOP
8 giugno 2018 | Ore 9:30 – 18:00
PAESTUM | Museo archeologico