con Giorgione, Tiziano, Lotto Jacopo Bassano e Tintoretto
una mostra a cura di
Caterina Furlan e Vittorio Sgarbi
L’arte potente e innovativa di Antonio de’ Sacchis, detto Il Pordenone, al centro di una spettacolare rassegna organizzata nella sua città natale.
Dipinti fondamentali di questo protagonista del Rinascimento, mai riuniti prima, in dialogo con quelli dei principali artisti veneti e padani della prima metà del Cinquecento.
Circa 80 opere alla Galleria d’Arte Moderna e tanti capolavori da ammirare nei percorsi cittadini.
Secondo una voce che godette di un certo credito tra i contemporanei, Giovanni Antonio de’ Sacchis, questo il suo vero nome – esuberante, sorprendente, eclettico protagonista della stagione artistica della prima metà del Cinquecento, non solo in Friuli e in Veneto ma in un più ampio contesto padano – sarebbe morto avvelenato dal suo eterno rivale, Tiziano, mentre si trovava a Ferrara su richiesta del duca Ercole II, che gli aveva commissionato una serie di cartoni per arazzi.
Di leggenda in realtà si tratta, ma capace di farci percepire da un lato le tensioni e lo spirito di “concorrenza” – per usare un’espressione cara a Vasari – che dovettero caratterizzare il mondo artistico dell’epoca, dall’altro la fama e il valore già allora riconosciuti al Pordenone, in grado di far ingelosire perfino il sommo Tiziano.
Era dunque tempo che, a distanza di oltre trent’anni dall’ultima mostra dedicatagli, si organizzasse una nuova rassegna che permettesse non solo di fare il punto degli studi, ma anche di presentare l’artista da un diverso punto di vista: non più egemone in un ambito provinciale, bensì grande tra i grandi del suo tempo.
A promuoverla il Comune di Pordenone, la Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia e l’Ente Regionale per il Patrimonio Culturale (ERPAC), con la collaborazione del Mibact – Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio del Friuli Venezia Giulia e della Diocesi di Concordia-Pordenone e con il patrocinio del Comune di Milano e dei Comuni di Piacenza, Cortemaggiore e Cremona.
Curata da Caterina Furlan e Vittorio Sgarbi, con l’organizzazione generale di Villaggio Globale International, la spettacolare mostra ospitata negli spazi della Galleria d’Arte Moderna/Parco Galvani dal 25 ottobre 2019 a 2 febbraio 2020, permetterà al pubblico di ammirare, accanto a quaranta dipinti e disegni dell’artista, quasi altrettante opere spettanti a esponenti di spicco della pittura veneta e padana del XVI secolo: da Giorgione, Tiziano, Sebastiano del Piombo, Lotto, Romanino a Correggio a Dosso Dossi, Savoldo, Moretto, Schiavone, Bassano, Tintoretto, Amalteo e altri ancora.
Fanno parte integrante del percorso espositivo un cospicuo numero di dipinti conservati in Duomo e presso il Museo Civico di Pordenone, dove sono presentati in un rinnovato allestimento, insieme con una selezione di stampe, libri e documenti d’archivio.
A sinistra: Lorenzo Lotto “San Cristoforo con il Bambino tra i santi Rocco e Sebastiano”, 1533-1535 – Loreto (AN), Museo Antico Pontificio della Santa Casa (particolare)
A destra: Giovanni Antonio de’ Sacchis, detto il Pordenone “San Cristoforo”,
1527 – 1528 Venezia, Scuola Grande Arciconfraternita di San Rocco (particolare)
È un “viaggio” affascinante quello proposto al visitatore, non privo di sorprese ed emozioni, perché il Pordenone, senza rinnegare il suo background veneziano, ha saputo assimilare e rielaborare con assoluta originalità gli stimoli provenienti non solo dalla cultura figurativa centro-italiana e in particolare da Michelangelo e Raffaello, ma anche dal mondo d’oltralpe e dall’ambito padano.
Il risultato è una pittura potente, caratterizzata da un vigoroso plasticismo e ricca di effetti illusionistici, che non mancherà di suscitare una vasta eco non solo a Venezia, ma anche in area padana, come emerge dai vari contributi in catalogo (Skira).
Le numerose opere in mostra, comprese imponenti e delicate pale proveniente da chiese e parrocchiali, oltre a scandire il percorso dell’artista (dalla giovanile paletta della sacrestia di Santa Maria della Salute a Venezia, proveniente dal castello di San Salvatore di Collalto, alle fondamentali opere delle chiese di Susegana e Torre di Pordenone, fino alla Madonna e santi della cattedrale di Cremona, su commissione dell’arciprete Giacomo Schizzi) permettono di comprendere appieno il ruolo svolto dal Pordenone nella precoce introduzione in ambito veneto di stilemi provenienti da culture figurative diverse, seguendo gli sviluppi della sua arte. Ma non solo.
Com’è risaputo, egli esercitò un notevole influsso oltre che in Friuli (dominato, dopo la sua morte, dal genero e allievo Pomponio Amalteo), anche su diversi artisti veneziani della generazione successiva, quali Giulio Licinio, Tintoretto, Jacopo Bassano e Giovanni Demio. Senza dimenticare che, stando a Vasari, egli avrebbe insegnato “il buon modo di dipingere ai Cremonesi”.
Con importanti prestiti concessi da vari musei italiani e stranieri, tra cui la Pinacoteca di Brera, il Castello Sforzesco di Milano, le Gallerie dell’Accademia di Venezia, le Gallerie degli Uffizi, il Complesso Monumentale della Pilotta di Parma, il Kunsthistorisches Museum di Vienna, il Louvre di Parigi e il British Museum di Londra, la mostra si è dunque posta un obbiettivo che la differenzia dalle precedenti, del 1939 e del 1984, incentrate esclusivamente sul Pordenone e sull’ambiente friulano: mostrare, attraverso le sue opere più significative, alcune delle quali mai esposte prima in Friuli, un artista in dialogo con alcuni tra i più importanti esponenti nella cultura figurativa del suo tempo.
UN CONFRONTO TRA GIGANTI DELL’ARTE
Ecco allora la possibilità di confrontare nientemeno che la Nuda di Giorgione – prestito eccezionale delle Gallerie dell’Accademia di Venezia – con la Madonna della Loggia dei Civici Musei di Udine, frammentaria, superba opera del Pordenone su cui s’incentra il dibattito dei suoi contatti con Roma e sul rapporto con il Maestro di Castelfranco, oltre che testimonianza dell’attività del Pordenone frescante; ecco ancora l’Eterno Padre del de’ Sacchis – lunetta superstite di un’Annunciazione già nella chiesa udinese di San Pietro Martire – con il Padre Eterno benedicente del Boccaccino (prestato dal Museo “Ala Ponzone” di Cremona) databile tra il 1525 e il 1530 e dunque spettante a un momento in cui i punti di riferimento del cremonese sono Tiziano e per l’appunto il Pordenone.
Cuore spettacolare della mostra sono le monumentali portelle della chiesa veneziana di San Rocco (San Cristoforo e San Martino), esposte accanto alla grande pala realizzata da Lorenzo Lotto per la basilica di Loreto, San Cristoforo tra i santi Rocco e Sebastiano, dove evidenti appaiono i richiami al gigantismo del Pordenone, che forse ebbe modo di incontrare a Venezia sullo scorcio degli anni Venti.
Tuttavia “l’apice del patetismo espressivo”, come scrive Caterina Furlan, lo si raggiunge con la grande Deposizione proveniente dalla chiesa dei Francescani di Cortemaggiore, affiancata dal Compianto eseguito da Correggio per la cappella del Bono, nella chiesa parmense di San Giovanni Evangelista: anche questo un prestito davvero straordinario della Galleria Nazionale di Parma, dove l’opera dovrà tornare anticipatamente (a fine dicembre) per le celebrazioni collegate alla nomina della città a Capitale della Cultura 2020.
Dialoghi tra grandi dunque; il fervore e l’apoteosi dell’arte rinascimentale in mostra.
Nello spazio esagonale ricavato a pianoterra della Galleria d’Arte Moderna, oltre a tali dipinti, trovano posto altre opere provenienti da Cortemaggiore e alcuni frammenti di un Compianto di Guido Mazzoni conservati nei Musei Civici di Padova, che dimostrano come il Pordenone abbia saputo infondere nuova linfa in una tradizione figurativa particolarmente radicata in area padana.
Non poteva mancare naturalmente il confronto tra due opere citate da Vasari a riprova della “concorrenza” con Tiziano: accanto alla paletta con I santi Caterina, Rocco e Sebastiano dipinta dal Pordenone per l’altare dei Corrieri nella chiesa veneziana di San Giovanni Elemosinario, è possibile ammirare infatti il San Giovanni elemosinario del Vecellio – opera satura di calore e atmosfera – proveniente dall’altar maggiore della stessa chiesa.
Ulteriori confronti sono proposti con artisti dell’area bresciana, come Romanino e Moretto, mentre la prova dell’importanza della lezione raffaellesca è affidata a una copia ottocentesca della celeberrima “Madonna di Foligno”, spettante al pittore Enrico Bartolomei.
Il percorso espositivo si sostanzia anche di una serie di opere volte a evidenziare l’influsso esercitato dall’artista non solo in Lombardia e in Emilia, ma anche sugli esponenti della più giovane generazione in Friuli e in ambito veneto dove, accanto alle figure di Pomponio Amalteo, Giulio Licinio e Giovanni Demio, emergono quelle di Tintoretto e di Jacopo Bassano.
A tale proposito, poiché nella Venezia del Cinquecento il Pordenone si era distinto anche come decoratore di soffitti, (tra cui quello perduto della Sala della Libreria in Palazzo Ducale), si è ritenuto opportuno presentare in mostra anche alcuni esempi delle soluzioni proposte in questo ambito da Tintoretto – con uno degli scomparti del soffitto del palazzo di San Paternian, su commissione di Vettor Pisani – e da Vasari che, circa nello stesso periodo (1542), lavorò in palazzo Corner Spinelli.
Per quanto riguarda Jacopo Bassano, l’interesse per il Pordenone si manifesta molto chiaramente nella pala asolana raffigurante Sant’Anna con la Vergine Maria bambina in trono e santi (1541), di proprietà delle Gallerie dell’Accademia di Venezia, ma in deposito al Museo di Bassano, che, insieme con il Martirio di santa Caterina (1544) dello stesso Museo, segna l’avvio delle sperimentazioni manieriste degli anni Quaranta.
Anticlassico, manierista, proto barocco, precaravaggesco: tutte le etichette assegnate dalla critica stanno in realtà strette al Pordenone, artista dalla “lingua tumultuosa e gigante” – come ebbe a dire Longhi – che, attraverso Tintoretto, avrà comunque un ruolo importante nello sviluppo dell’arte barocca.
Ecco il Pordenone – scrive l’Aretino nell’edizione veneziana della Cortigiana (1536) – le cui opere fan dubitare se la natura dà rilevo all’arte o l’arte alla natura”.
A sinistra: Giovanni Antonio de’ Sacchis, detto il Pordenone – “Santi Sebastiano, Rocco e Caterina, 1533 – 1535 -Venezia, Chiesa di San Giovanni Elemosinario
A destra: Tiziano Vecellio, San Giovanni Elmosinario, circa 1548-1549
Venezia, Chiesa di San Giovanni Elemosinario.
OLTRE LA MOSTRA
Accompagnata da un ricco catalogo (Skira), con testi di Maria Agnese Chiari, David Ekserdjian, Elisabetta Francescutti, Caterina Furlan, Michel Hochmann, Vittorio Sgarbi e Marco Tanzi, la mostra che si estende alle opere del Pordenone conservate nel Duomo e al Museo Civico, sarà anche l’occasione per scoprire l’intera città natale dell’artista e il territorio provinciale , attraverso itinerari tematici promossi dal Comune di Pordenone, in collaborazione con la Diocesi di Concordia-Pordenone, e dalla Regione Friuli Venezia Giulia.
Oltre a ciò, il lungo lavoro condotto in questi anni dal Comune di Pordenone per la digitalizzazione e catalogazione del patrimonio pordenoniano in provincia, sarà fruibile dal pubblico grazie a una singolare esposizione allestita alla Galleria Harry Bertoia, che sarà inaugurata e fine anno.
Una mostra d’impatto visivo ed emozionale che proporrà, oltre a quelle relative all’ambito territoriale, anche le testimonianze “virtuali” dei capolavori del de’ Sacchis conservati a Piacenza, Cremona e Cortemaggiore: materiali realizzati e concessi dalle rispettive città parimenti impegnate nella valorizzazione dell’opera dell’artista e legate al Comune di Pordenone da un accordo di collaborazione.