Questo tipo di ushabty è definito “saitico” perché presenta una serie di elementi iconografici e caratteristiche tecniche ben precise e ben identificabili, riconducibili all’epoca Saitica (XXVI dinastia) che perdureranno, pur con qualche evoluzione stilistica, fino al periodo tolemaico.
La caratteristica che più li accomuna è probabilmente la tecnica con cui sono stati realizzati, cioè a stampo. Nella collezione egizia del Museo Archeologico di Napoli, oggetto di questi articoli, è custodita una serie di cinque ushabty realizzati proprio con il medesimo stampo e nel caso del Prete sema, Hapy-men, vi sono due ushabty che condividono lo stesso stampo, uno nel Museo di Napoli e l’altro nel Museo Nazionale delle Antichità di Leiden.
Gli ushabty di tipo saitico indossano una parrucca tripartita a volte liscia, oppure con i capelli a rilievo o incisi, che lascia scoperte le orecchie. Le braccia sono incrociate sul petto e le mani impugnano attrezzi da lavoro: nella mano sinistra una piccozza e nella la destra una zappa mer, oltre una cordicella a rilievo che regge un sacco dietro la spalla sinistra.
La statuetta poggia su un parallelepipedo di forma approssimativa ed è provvista di un pilastro dorsale per tutta la sua altezza, dove sono incisi sempre ad incavo dei geroglifici.
Il reperto in foto, appartenuto a Pa-di-ni-udjit, figlio di Setcher-ir-dis, ha tutte queste caratteristiche e reca due colonne di geroglifici che riportano una sintesi del capitolo VI del libro dei morti: “Se sarà reclutato Pa-di-ni-udjit, figlio di Setcher-ir-dis, per fare ogni lavoro nell’aldilà, ‘eccomi’ tu dirai.
La realizzazione di questi reperti è molto curata. Il viso è ben modellato con occhi, naso e bocca in basso rilievo e la resa dei dettagli è notevole, come l’intreccio della corda che regge il sacco sulla spalla sinistra e – talvolta – il breve tratto di corda posto tra i due elementi che compongono la zappa mer.