Con un “tweet” ufficiale da parte del Ministro della Cultura della Turchia, è stato annunciato nei giorni scorsi il rinvenimento di alcune armi in bronzo nel sito di Ayanis, appartenente alla civiltà di Urartu. Le armi, rinvenute intatte all’interno del tempio del dio Haldi, erano probabilmente state dedicate alla divinità stessa. Ma data la notizia, occorre dare anche un po’ di contesto: che cos’è Urartu? Dove si trova Ayanis? Che divinità sarebbe mai questo Haldi? Si tratta, in effetti, di nomi abbastanza sconosciuti al grande pubblico italiano: se qualcuno tra i nostri lettori li conoscesse, non sarebbe certo per merito dell’istruzione scolastica, ma grazie a letture personali o a un percorso di studi molto specifico.
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Urartu non è stato infatti un regno capace di lasciare un ricordo così incisivo nella storia da essere ricordato al pari dei contemporanei imperi degli Assiri o dei Babilonesi, né del grande Impero Persiano che ne decretò la caduta. Eppure, non fu certo un piccolo potentato locale, né un attore effimero della grande politica orientale. Situato nell’odierna Turchia orientale, il regno di Urartu ebbe il suo centro attorno al Lago di Van, e fu una delle potenze che nacquero tra X e IX secolo a.C. dalle ceneri dell’Impero Ittita. Al massimo della sua espansione, il regno arrivò a controllare buona parte dell’Anatolia orientale, del Caucaso (odierna Armenia) e parte dell’altipiano persiano. Fu uno dei più indomiti nemici dell’impero assiro, arroccato sulle montagne a nord della Mesopotamia, e a questo sopravvisse, perdendo la propria indipendenza solo di fronte all’inarrestabile avanzata dei Persiani, dopo quasi quattrocento anni di storia. Anche la Bibbia ne ricorda l’esistenza: il celebre monte Ararat, sul quale si arenò l’Arca di Noè, si trova all’interno dei confini di Urartu, e con lo stesso termine “Ararat” le Sacre Scritture si riferiscono al potente regno a nord della Mesopotamia (i più attenti lettori, che sanno che le lingue semitiche come l’ebraico non sempre scrivono le vocali delle parole, avranno notato che le consonanti di “Urartu” e “Ararat” sono le stesse tre, nello stesso ordine: r-r-t).
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Gli Urartei erano famosi per la loro produzione di oggetti di metallo, in particolare in bronzo, e per il loro vino. Le tante miniere sparse tra le loro montagne li resero quindi grandi produttori di armi e, di conseguenza, nemici temibili; e le stesse regioni, fresche e asciutte, sono ancora oggi celebri per i loro vigneti (si pensi al vino armeno). La capitale del regno, Tuşpa, sorgeva sulla riva orientale del Lago di Van, in cima a una collina a strapiombo sulle acque, rendendolo allo stesso tempo scenograficamente splendida e militarmente imprendibile. Il sito di Ayanis, di cui si parla in questo articolo, sorgeva poco a nord della capitale, sempre lungo le rive del lago, ed era una sorta di città-fortezza. Anch’essa arroccata su uno sperone roccioso, fu eretta dall’ultimo grande sovrano di Urartu, Rusa II, a protezione del territorio della capitale. La storia di questo insediamento, tuttavia, fu estremamente breve e sfortunato: dopo appena una trentina d’anni dalla sua fondazione, un devastante terremoto lo distrusse completamente, e il crollo del regno di pochi decenni dopo fece sì che il sito non venisse più occupato stabilmente su larga scala.
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Condizioni terribilmente sfortunate per gli abitanti, ma provvidenziali e fortunate per gli archeologi: i resti della città collassata su sé stessa, infatti, non sono stati disturbati da altre occupazioni nel corso dei secoli, e ciò fa sì che molti edifici di Ayanis siano tra i meglio conservati del loro genere, e che le ricerche s’imbattano spesso in piccoli tesori sepolti. È il caso del Tempio del dio Haldi, la divinità principale di Urartu, dio guerriero barbuto rappresentato in groppa a un leone: la sua “casa” ad Ayanis è la meglio conservata in assoluto, e qui sono state rinvenute diverse armi a lui consacrate.
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Nel corso di questa estate, gli archeologi dell’Università Atatürk di Erzurum hanno rinvenuto tre scudi in bronzo e un elmo cerimoniale, sepolti sotto il pavimento di una stanza del Tempio come offerta al dio. L’elmo, in particolare, risulta essere un oggetto di grande interesse. Si tratta di un esemplare non adatto al combattimento, ma usato solo per le parate, come testimoniano le complesse decorazioni figurative realizzate sulla superficie: una volta restaurato, racconterà interessanti informazioni agli specialisti. La sepoltura dei doni all’interno dello spazio sacro era una pratica assolutamente naturale, e nessuna offerta poteva essere più adeguata per il bellicoso Haldi di qualche arma preziosa ed esteticamente lavorata. Sarà necessario attendere ancora qualche tempo e indagini più approfondite per avere un’interpretazione definitiva del contesto; il tempo necessario per i lettori di fare qualche piccolo approfondimento su questo poco noto, ma estremamente affascinante regno di oltre 2.500 anni fa.