L’importanza della propria tomba: il fantasma di Nebusemekh
In precedenza abbiamo parlato del faraone Montuhotep II e della sua tomba a Deir el-Bahari, a questo proposito voglio raccontare, a chi ancora non la conosce, una storia che in qualche modo coinvolge questo faraone, o almeno l’ubicazione della sua tomba. Questa storia trae origine dal ritrovamento di alcuni ostraka, oggi conservati in diversi musei sparsi per l’Europa, il Kunsthistorisches Museum di Vienna, il Louvre di Parigi, il Museo Archeologico Nazionale di Firenze, uno di questi fu ritrovato nel 1905 a Deir el-Medina da Ernesto Schiaparelli e oggi è conservato al Museo Egizio di Torino. Cocci di un vaso sul quale è riportata la storia che vado a narrarvi. Dopo aver riunito vari frammenti di ostraka, è stato possibile ricostruire, almeno in parte, quella che possiamo definire una ghost story di oltre 3000 anni fa.
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Vi chiederete perché ho detto “ghost story”, ebbene sì perché trattasi di una storia di fantasmi. In ogni cultura, sotto diversi aspetti, l’uomo è sempre stato attratto dalle storie di fantasmi e spiriti. L’origine di queste storie si perde nella notte dei tempi ed a queste non erano esenti neppure gli antichi egizi.
Si racconta che un giorno un uomo si recò dal Sommo Sacerdote di Amon, Khonsuemheb a el-Karnak, e gli raccontò che, avendo trascorso la notte accanto ad una tomba nella Necropoli di Tebe nella Valle dei Re, mentre dormiva fu svegliato e tormentato da uno spirito che gli chiedeva aiuto. Il Sacerdote chiamò gli dei dal suo tetto per evocare lo spirito che si presentò come Nebusemekh, (o Niutbusemekh), figlio di Ankhmen e Tamshas. Lo spirito narra la sua vita passata, spiega che in vita era stato custode dei beni e ufficiale militare sotto il faraone Rahotep, nonché sovrintendente dei tesori reali. Era morto 800 anni prima, nell’estate dell’anno 14mo di regno del faraone Montuhotep II. Questo sovrano aveva fatto costruire per lui una tomba a pozzo dove poteva riposare in un sarcofago di alabastro. Nel corso dei secoli però la sua tomba era crollata ed ora lui era condannato a vagabondare irrequieto nell’Aldilà. Il testo narra che Khonsuemheb promette allo spirito di rendergli giustizia e di aiutarlo a trovare la pace. Lo spirito però rimane scettico al riguardo perché il Sommo Sacerdote non è il primo a promettergli tale pace.
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A questo punto della storia sorgono alcuni problemi di traduzione ma tutto lascia supporre che lo spirito non trovi pace e sia irrequieto perché la sua vera tomba non è più stata ritrovata e quindi più nessuno è andato a portargli offerte e ad onorarlo. Khonsuemheb si offre allora di costruirgli una nuova tomba e di fornire allo spirito una bara dorata di legno di ziziphus (giuggiolo), una pianta che cresce sotto forma di cespuglio o albero spinoso, un tentativo per placare la sua irrequietezza e renderlo pacifico. Finita la tomba, il Sacerdote manda dieci dei suoi servitori a fare offerte quotidiane nella nuova tomba. Il fantasma però si lamenta che quest’ultima idea non è di alcuna utilità in quanto quella non è la sua vera tomba. Khonsuemheb, sconfortato si siede accanto al fantasma, piangendo e volendo condividere lo sfortunato destino dello spettro, invia quindi tre uomini a cercare la tomba. E la storia purtroppo si ferma qui, non sono stati, per ora, ritrovati altri ostraka che ci rivelino il finale.
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L’egittologa inglese Rosalie David spiega che gli antichi Egizi credevano che la personalità umana avesse molte sfaccettature, un concetto probabilmente sviluppato all’inizio dell’Antico Regno. Nell’esistenza terrena, una persona era un’entità completa e, se avesse condotto una vita virtuosa, avrebbe potuto anche accedere a una molteplicità di forme nell’altro mondo ma solo se veniva ricordato in questo. In alcuni casi, queste forme potevano essere utilizzate per aiutare coloro che il defunto desiderava sostenere o, in alternativa, per vendicarsi dei suoi nemici.
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Secondo alcuni si può supporre che la tomba del fantasma possa trovarsi vicino a quella del faraone Montuhotep II, a Deir el-Bahari, sulla sponda occidentale del Nilo, proprio di fronte alla città di Luxor.
Infatti l’epoca nella quale Nebusemekh, il fantasma, dice di essere morto, cade proprio nell’estate del XIV anno di regno del faraone Montuhotep II. Si presume quindi che, ritrovata e restaurata la tomba, Khonsuemheb lo abbia comunicato allo spirito il quale finalmente poté godersi il meritato riposo eterno. Sicuramente si tratta solo di una storia della letteratura antico egizia, sta di fatto, però, che nel 2014 una missione giapponese della Waseda University, proprio nella necropoli tebana, ha scoperto una tomba, molto ben conservata, dove compare il nome del Sommo Sacerdote Khonsuemheb.
Noi aspettiamo che il suo fantasma ci venga a raccontare il finale della storia.
Fonte:
Alan Gardiner, “Late-Egyptian stories”, Bruxelles, 1981 (1932)
Gaston Maspero, “Les contes populaires de l’Egypte ancienne”, Maissoneuve et Larose, 1967