Si distende lungo il Mare Nostrum e lo divide in molti altri mari. La sua ossatura rocciosa piega all’improvviso a Occidente, come a rivendicare con decisione la propria vocazione, interrompendosi brevemente in uno Stretto e terminando nella forma trigone della sua isola maggiore. È il nostro Stivale.
Da poco più di un secolo e mezzo il Bel Paese è unito in una sola Nazione, ma la sua storia millenaria racconta di popoli e genti differenti che si sono incontrati e scontrati, respinti e reciprocamente permeati.
Uno dei fatti storici più rilevanti può essere considerato a buon diritto ciò che conosciamo con il termine “Magna Grecia”, in riassunto ad un articolato e complesso movimento di genti che dalla Grecia si mosse alla volta del nostro meridione a partire dall’VIII sec. a.C.
Vele piene di vento spinsero i coloni greci verso terre fertili seguendo le rotte dei commerci già note da tempo, e negli approdi favorevoli fondarono nuove città trasferendovi la struttura sociopolitica delle polis di origine.
Intorno al VII sec. a.C. coloni Greci provenienti dalla Locride fondarono Lokroi Epizephyrioi, sul versante ionico della Calabria, che ben presto estese la sua sfera di influenza ben oltre la costa. Circa un secolo dopo furono fondate due sub colonie sul versante tirrenico, Medma e Hipponion, allo sbocco dei due valichi che collegavano il Mar Ionio e il Mar Tirreno, consentendo così ai locresi di portare avanti i loro commerci verso il nord ovest del Mediterraneo evitando lo Stretto di Messina, controllato dalla città fondata da coloni calcidesi nell’VIII sec. a.C., Reghion, l’odierna Reggio Calabria.
La mostra documentaria realizzata dall’École française de Rome (EFR) e dall’Accademia d’Ungheria in Roma prende in esame una classe di reperti, le korai, provenienti da uno dei santuari innalzati nella città di Medma, individuato nei primi anni del Novecento da Paolo Orsi in Contrada Calderazzo, a Rosarno.
Ágnes Bencze, professore associato dell’Università Cattolica Pétér Pázmány di Budapest e responsabile scientifico del Centro di Ricerche sulle Colonie Locresi (CeRCoLoc) e Franco Prampolini, professore associato del Dipartimento PAU dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria, responsabile del Laboratorio di Modellazione multiscala dell’Architettura e Archeologia (SuMMA Lab) e membro del Comitato Scientifico del CeRCoLoc, sono i curatori di questa particolare e affascinante esposizione ospitata nella sede dell’EFR di Piazza Navona e a Palazzo Falconieri sede dell’Accademia d’Ungheria.
I due studiosi, in collaborazione con la Soprintendenza ABAP di Reggio Calabria e Vibo Valentia, il Museo Nazionale di Reggio Calabria e l’Accademia dei Lincei, hanno voluto rendere visibile il grande lavoro di studio e catalogazione della classe di reperti più nota che il sito indagato ha restituito, ovvero statuette in terracotta – da interpretarsi come ex-voto – che rappresentano figure femminili vestite con abiti dal ricco drappeggio sedute su troni decorati.
Già Paolo Orsi nel 1914 diede conto delle korai di Medma pubblicando un approfondito studio che ne metteva in risalto l’originale gusto plastico intriso delle fasi finali dell’arcaismo greco, ma totalmente privo di una documentazione “d’accompagnamento” in grado di legare i reperti a precisi contesti. L’antica città magnogreca è oggi pesantemente compromessa dalla crescita della città moderna di Rosarno, che ha inglobato gran parte delle sue strutture rendendole oggi inaccessibili.
La mostra documentaria non presenta reperti originali ma una serie di copie restituite attraverso stampe in 3D dei modelli digitali realizzate in scala 1:1, oltre ad un accurato racconto della storia del santuario di Medma e dei procedimenti messi in atto per mettere a sistema il corpus delle korai, grazie alla presenza di grandi pannelli informativi e di due schermi con video-animazioni.
I modelli sono stati realizzati con la tecnica della fotomodellazione analitica, una tecnologia che si basa sulla ricostruzione dell’orientamento spaziale di insiemi di immagini per ricavarne un modello 3D molto affidabile.
Un video mostra l’affascinante procedimento con cui gli studiosi hanno inteso dare un volto alla figura femminile che per greci e romani rappresentò l’ideale di donna, Penelope, riassumendo in unico prototipo coroplastico i tratti somatici rilevanti e ricorrenti tra le korai restituite dagli scavi archeologici, consentendo a noi uomini moderni di scorgere, se pur ipoteticamente, i tratti somatici di una “Penelope ideale”.
La visita a questa mostra documentaria è l’occasione per conoscere da vicino il lavoro che gli archeologi compiono al di fuori dello scavo archeologico vero e proprio, parte integrante della ricostruzione storica del sito indagato. E’ anche l’occasione, per coloro che non conoscessero questi due prestigiosi istituti, per prendere coscienza dell’importanza che l’École française de Rome e l’Accademia d’Ungheria in Roma hanno nel panorama culturale del nostro Paese, in una visione internazionale che converge forze ed energie positive nello studio della nostra storia.
I reperti archeologici originali sono custoditi presso il Museo Archeologico di Medma, a Rosarno, che sorge in prossimità del parco archeologico.