Grazie ad un’innovativa tecnologia finora utilizzata solo per lo studio di manoscritti, tessili e dipinti risalenti al massimo a qualche centinaio di anni fa, il team di ricerca-tori è riuscito a sequenziare le proteine della pelle mummificata e a caratterizzare il microbioma presente sulla superficie del corpo di una giovane donna vissuta a Gebe-lein (Alto Egitto) durante l’Antico Regno, oltre 4000 anni fa.
I ricercatori del Dipartimento di Scienze della Vita e Biologia dei Sistemi dell’Università di Torino, alla guida di un team internazionale, sono riusciti ad ottenere informazioni molecolari da una mummia dell’Antico Egitto senza pregiudicare l’integrità del reperto. Per lo studio è stata utilizzata una metodologia innovativa basata sul contatto tra la pelle della mummia ed una membrana che estrae le proteine presenti sulla superficie in modo non invasivo, rendendole disponibili per le analisi: si tratta di una membrana di etilene vinil acetato, “EVA”, funzionalizzata con un medium cromatografico.
Grazie a questa tecnologia, sviluppata dal Politecnico di Milano e da Spectrophon Ltd e finora utilizzata solo per lo studio di manoscritti, tessili e dipinti risalenti al massimo a qualche centinaio di anni fa, il team è riuscito a sequenziare le proteine della pelle mummificata e a caratterizzare il microbioma presente sulla superficie del corpo di una giovane donna vissuta a Gebelein (Alto Egitto) durante l’Antico Regno, oltre 4000 anni fa. La mummia, rinvenuta negli anni Venti del secolo scorso durante gli scavi della Missione Archeologica Italiana (M.A.I.), è custodita presso il Museo di Antropologia ed Etnografia dell’Università di Torino (MAET). Lo studio del microbioma ha permesso la scoperta di potenziali microrganismi del degrado, un dato importante per progettare il futuro moni-toraggio dello stato di conservazione della mummia.
Lo studio, dal titolo “Never Boring: Non-invasive Palaeoproteomics Of Mummified Human Skin”, pubblicato oggi nella rivista scientifica Journal of Archaeological Science, rivela inoltre dettagli inediti sul processo di mummificazione a cui è stato sottoposto il corpo. Grazie alla collaborazione con l’Università di Pisa è stato infatti possibile svelare la presenza di una resina di Pinaceae sulla pelle e sui tessuti che rivestono il corpo, tra i quali spicca una rarissima tunica plissettata. Il dato è estremamente interessante poiché le informazioni che oggi disponiamo sui procedimenti di imbalsamazione durante le prime dinastie dell’Antico Regno sono piuttosto sporadiche. I risultati di questo studio vanno a colmare alcune di queste carenze fornendo dati inediti sulle materie prime utilizzate nella ritualità funeraria riservata a una giovane donna, molto verosimilmente appartenente ad un rango medio-alto della comunità, vissuta in una provincia tra le più importanti dell’Alto Egitto.
Il team di UniTo, oltre al capofila Dipartimento di Scienze della Vita e Biologia dei Sistemi, comprende anche staff del Dipartimento di Filosofia e Scienze dell’Educazione e dell’Open Access lab di Spettrometria di Massa.
La Prof.ssa Beatrice Demarchi del Dipartimento di Scienze della Vita e Biologia dei Sistemi dell’Università di Torino, primo autore dello studio, sottolinea: “La collaborazione tra i diversi Dipartimenti di Unito con le Università di Pisa e Cambridge, il Politecnico di Milano e la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per la Città Metropolitana di Torino, permetterà di utilizzare la stessa tecnica per studiare l’intera collezione di mummie del Museo di Antropologia ed Etnografia dell’Università di Torino. Questo ci consentirà di ottenere preziose informazioni sullo stile di vita, incluso lo stato di salute o la presenza di patologie, e sull’evoluzione delle pratiche di imbalsamazione a partire dalle epoche Predinastiche fino all’età Tolemaica”.