Il dio dei morti Osiri compare improvvisamente nella documentazione archeologica e nei testi. Si presume che questa divinità sia sorta tra la fine della IV dinastia e l’inizio della V.
Gli egittologi hanno tentato di trovare una spiegazione all’apparizione di Osiri, ma i tentativi non sono stati ritenuti convincenti, e quindi abbandonati. Uno di questi tentativi proponeva che la comparsa di Osiri era associata all’avvio dei processi di mummificazione.
Una tesi ragionevole e bene articolata è stata elaborata da Bernard Mathieu1. Secondo questo autore l’improvvisa comparsa di Osiri e la diffusione del suo culto in tutto l’Egitto è frutto di una decisione assunta dai re della V dinastia che ordinarono ai preti eliopolitani di creare questa divinità allo scopo di definire in dogma le regole per la successione al trono e in definitiva per promuovere la stabilità politica e sostegno alla famiglia reale. Così si sarebbe formata la famiglia osiriana, la triade Osiri, la sua sposa Isi e il figlio Horus.
Nel suo volume Following Osiris, Mark Smith valuta criticamente ogni argomento della tesi di Mathieu che poi giustizia definitivamente scrivendo che, comunque, non esiste alcun documento che la confermi. La comparsa di Osiri nelle fonti scritte compare poco prima del regno di Neuserre. Non si è in grado di sapere come e perché iniziò la venerazione del dio Osiri2.
Il dio Horus è stato concepito magicamente: la madre, la dea Isi, tramutata in uccello si è posata sul fallo del dio Osiri morto. Con un battito di ali Isis ha ridato un palpito di vita al marito defunto sufficiente per essere ingravidata.
Molti conoscono questo mito per la sua rappresentazione nel tempio di Sethi I ad Abido. Questa immagine è ripetuta in altri templi e anche in tombe private e il suo mito è fondativo di ogni culto riguardante il dio Osiri per tutto il corso della storia egizia.
Forse è meno noto che il miracoloso concepimento di Horus è già presente nei Testi delle Piramidi (V dinastia).
TdP 366, 631-632: “Tu hai posto lei sul tuo fallo e il tuo seme è entrato in lei, ella essendo pronta come Sothis, e Har-Sopd è uscito da te come Horus che è in Sothis”.
TdP 593, 1635b-1636a: “Isi viene a te per l’amore che ti porta, il tuo seme entra in lei, ella essendo pronta come Sothis, e Har-Sopd è uscito da te come Horus che è in Sothis”.


Un racconto del Papiro Westcar3 ci presenta re Snefru, il padre di Cheope, in cerca di svago. Gli viene consigliato di fare una gita in barca sul laghetto del palazzo con venti giovani rematrici del suo harem “ben formate di corpo, con seni sodi, i capelli intrecciati e il cui grembo non sia stato (ancora) aperto dal parto” e vestite unicamente di una reticella a maglie larghe. La gita inizia e Snefru si gode la vista delle belle giovani rematrici che vogano. Durante la voga a una rematrice cade nel lago un pendaglio a foma di pesce. La fanciulla si rifiuta di remare se il gioiello non verrà recuperato. Snefru fa chiamare il capo ritualista che con una formula magica fa sollevare e posare una metà dell’acqua sopra l’altra metà. Così il gioiello viene facilmente recuperato e la gita può proseguire.
In un articolo Ph. Derchain4 trascura la seconda parte del racconto e ci offre un’interpretazione mitica della gita in barca di Snefru.
I remi sono di ebano ricoperti di oro fino, le rematrici sono nominate con parole che sono epiteti della dea Hathor e le loro fattezze sono le stesse descritte per Hathor. Così stando le cose, la gita di Snefru assume un altro significato: la gita prefigura Ra che viaggia in cielo nella sua barca che ha alla prua la dea Hathor, “la signora della gioia, del giubilo e della felicità, quella il cui amore è soave, che suo padre si compiace di contemplare”.
Il Papito Westcar è del II Periodo Intermedio ma sembra che la sua origine risalga al Medio Regno.
Nell’ultimo racconto del Papiro Westcar il mago Gedi annuncia a Cheope che Regdedet, sposa di un sacerdote di Ra, il dio sole, è incinta di tre maschi figli di Ra e che essi saranno i futuri sovrani d’Egitto5. Nel suo articolo6 Ph. Derchain presume che in questo finale stia il vero significato del papiro. Il racconto degli svaghi di Snefru mostra l’esistenza nella IV dinastia di un culto solare che ha toni fiabeschi. Invece con la V dinastia il culto solare assume una nuova enfasi, I sovrani introdurranno nel loro protocollo il titolo “figlio di Ra” (sA Ra) con valore di figlio effettivo, non simbolico.
La nascita dei tre re, annunciati dal Papiro, avviene con l’aiuto di 4 divinità femminili: Isi, Nefti, Heqet e Meskehnet nel ruolo di levatrici. Il sarcofago è come il ventre femminile e in esso il defunto re prepara la sua rinascita. Sugli spigoli del sarcofago di quarzite di Tutankhamon sono scolpite le 4 divinità femminili che agiscono da levatrici con un aggiornamento: Heqet è sostituita da Selqit e Meskhenet è sostituita da Neith. Questo modello è stato applicato anche ai sarcofagi dei re Ay e Horemheb.

Del re Cheope conosciamo la sua enorme piramide a Giza e una minuscola statuetta d’avorio di epoca saitica. Cheope è citato nel Papiro Westcar e in un curioso capitolo delle Storie di Erodoto (V secolo a.C.). Scrive Erodoto che “Cheope giunse a tal punto di malvagità che, per bisogno di ricchezze, mise sua figlia in un bordello e le ordinò di farsi pagare una certa quantità di denaro, non dicono quanto. La figlia adempì agli ordini del padre, ma anch’essa meditava di lasciare un monumento in proprio e a tutti quelli che entravano da lei chiedeva di farle dono di una pietra per le sue costruzioni. Raccontano che con queste pietre fu costruita la piramide che è al centro delle tre, davanti alla grande piramide” (quindi la piramide della regina Henutsen)7.

In un articolo Marcel Baud scrive che il Papirp Westcar dà di Cheope l’immagine di un re tirannico e poco rispettoso della vita umana8. Ma l’empietà di Cheope non si accorda con le testimonianze archeologiche dell’Antico Regno che assicurano il suo rispetto dell’ordine divino nel quadro di una monarchia di essenza divina, Nel nome di Horus e nel nome delle Due Signore del protocollo di Cheope compare un segno che si legge mdjd di difficile interpretazione9 Baud analizza minutamente i vari significati attribuiti al segno geroglifico che dà nome a questo vocabolo. La tesi di Baud è che questo segno sia l’immagine arcaica di un torchio con un significato positivo del tipo “dispensatore di provviste, il benefattore”. Nel tempo questo significato si sarebbe perso. È tipico nella storiografia egizia creare dialetticamente figure in opposizione, così alla bonomia di Snefru si oppone la malvagità di Cheope. Comunque sia, al tempo di Erodoto il tornio nel protocollo di Cheope è stato inteso nel suo significato di premere/pressare dando a Cheope il marchio dell’oppressore.

Durante la sua spedizione in Egitto nel 1843-1844, R. Lepsius si dedicò alla grande piramide di Cheope. Nel giorno del compleanno del re di Prussia Federico Guglielmo IV la spedizione festeggiò questo evento con una scalata alla piramide, issando sulla cima la bandiera prussiana. Lepsius poi fece scrivere vicino all’entrata originaria della piramide un testo in geroglifico che dedicava la grande piramide di Cheope al re di Prussia. La traduzione italiana della dedica è di Alberto Elli10: “Anno di regno V sotto la Maestà del Signore della terra di Prussia, <il Re dell’Alto e Basso Egitto>, <il sole e la roccia di Prussia sono saldi>, <il Figlio di Ra, che ama suo padre>, <il Signore della perfezione della Prussia, scelto da Seshat, amato da Thot>, <il sole del popolo, Wilhelm IV, dotato di vita>. Il trentaquattresimo compleanno dello scriba reale, che egli ama, Lepsius detto Richard, in vita”.

Erodoto ci informa che Micerino, costruttore della terza piramide di Giza, disapprovava l’operato di Cheope, quindi “riaprì i cantieri, promise al popolo, afflitto fino ai mali estremi, di dedicarsi al lavoro e ai sacrifici: tra tutti i re, rese agli Egiziani le sentenze più giuste. Appunto per questa sua opera lo lodano di più, tra tutti i re che ci sono stati in Egitto. Infatti, oltre a giudicare bene, a chi si lamentava della sentenza, dava anche del suo e ne calmava la collera”.
Erodoto però raccoglie anche una diceria che riguarda questo re e ci racconta un tragico episodio della vita di re Micerino, Il re si innamorò della propria figlia e la violentò nonostante l’opposizione di lei. “Dicono poi che la figlia per la pena si impiccò e che Micerino la fece seppellire in questa vacca”. “Addoloratissimo per la sventura che gli era capitata addosso e volendo seppellire la figlia con più magnificenza degli altri, fece costruire una vacca di legno, vuota all’interno; quindi, la fece dorare e dentro ci seppellì la figlia”. “Tutto il resto della vacca è coperto da un manto di porpora, mentre si vedono la coda e la testa indorate da uno strato d’oro molto spesso; tra le corna è raffigurato in oro il disco del sole.”
Il testo si dilunga ancora su vari aspetti di questa vacca che ai suoi tempi (di Erodoto) era ancora visibile nella città di Sais11.

Ancora Erodoto ci fornisce una curiosa notizia sulla piramide di Micerino. “Alcuni greci dicono che questa piramide [di Micerino] sia di Rodopi, donna cortigiana, ma si sbagliano”. Rhodopis, originaria della Tracia, si trasferì in Egitto per praticare la sua professione12. Erodoto esclude che Rhodopis, per quanto bellissima, potè accumulare tanti talenti da potere costruire una piramide. Inoltre, conclude Erodoto, l’errore è evidente perché Rhodopis visse ai tempi del re Amasi (XXVI dinastia), quindi molti secoli dopo la costruzione delle piramidi13.
Sull’argomento si è espresso anche Diodoro Siculo (I secolo a:C:)14. A Diodoro è stato raccontato che alcuni governatori divennero amanti di Rhodopis e per la passione che nutrivano per lei fecero causa comune per costruirle la terza piramide di Giza15.
Plinio il Vecchio (I secolo d.C.) afferma che “la più piccola ma la più celebre piramide di Giza è stata costruita da una cortigiana, Rhodopis”. Plinio continua esprimendo “la più grande meraviglia che una cortigiana abbia potuto ammassare così grandi ricchezze”16.
Strabone (I secolo d.C.), a sua volta, riferisce che “la terza piramide è chiamata la tomba della cortigiana perché essa è stata costruita dai suoi amanti”.
Sul conto di questa favolosa cortigiana, di nome Rhodopis, a Strabone è stata raccontata una storia curiosa17. Mentre Rhodopis stava facendo il bagno un’aquila afferrò uno dei suoi sandali e volò fino a Menfi dove lo lasciò cadere. Il sandalo cadde in grembo al faraone che in quel momento stava esercitando all’aperto la giustizia. Stupito per la bellezza del sandalo e per la stranezza dell’evento, il re ordinò ai suoi uomini di percorrere tutto l’Egitto per cercare la donna che portava quel sandalo. Ella fu trovata nella città di Naucratis e, portata a Menfi, divenne la sposa del re. Quando morì per onorarla fu edificata per lei la terza piramide di Giza.
Evidentemente si riteneva credibile che le arti amatorie della cortigiana Rhodopis avessero la capacità di ammaliare numerosi e qualificati amanti tanto da essere gratificata con una piramide.
Naturalmente la terza piramide di Giza venne costruita da re Micerino (Menkaure, IV dinastia).
È davvero curioso che al tempo degli scrittoi citati ci fosse una tale confusione sull’attribuzione di questa piramide.
La storia di Rhodopis e del suo sandalo è all’origine della fiaba di Cenerentola.

Edda Bresciani ha dedicato un articolo al culto del faraone (Ne)-Maat-Ra Amenemhat III nel Fayum in epoca greco-romana 18. Il suo nome grecizzato è Premarres. L’elemento iniziale Pre è il titolo egiziano Pr-aA= la Grande Casa/Faraone. Sono riconoscibili numerose varianti al nome Premarres.
La permanenza del culto di Amenemhat dalla XII dinastia all’epoca greco-romana dimostra la gratitudine dei fayumiti per questo sovrano che dedicò molta della sua opera alla bonifica, alla sistemazione agricola e alla strutturazione irrigua del Fayum grazie alla costruzione della diga e alle chiuse di El-Lahun. Amenemhat costruì poi grandiosi templi a Scedet-Crocodilopolis in onore del dio coccodrillo Sobek, fondò la città di Narmuthis, oggi Medinet Madi, costruì la sua piramide ad Hawara associata a un rinomato tempio (chiamato Labirinto) oggi scomparso.

Ricordiamo che il tempio fondato a Medinet Madi, dedicato alla dea cobra Renenutet, “signora dei granai”, è l’unico monumento della XII dinastia giunto fino a noi.
La divinizzazione di Amenemhat è ben documentata in tutto il Fayum. Ora dobbiamo ricordare i miracoli del sovrano divinizzato. “Secondo il quarto degli inni di Isidoro a Medinet Madi, Promanres-Amenemhat III aveva poteri soprannaturali sugli animali che strisciano sulla terra e soprattutto sugli uccelli del cielo, il cui linguaggio il re comprendeva e dai quali il re era compreso e ubbidito”. Isidoro dichiara di avere appreso da una fonte attendibile che il re, avendo un giorno spedito una cornacchia, l’uccello tornò portando una lettera!
Nel suo articolo la Bresciani riporta la traduzione integrale del quarto inno di Isidoro dal quale apprendiamo che anche “la terra, i mari e le correnti di tutti i fiumi dalle belle acque gli ubbidivano, e il soffio dei venti e il sole che una dolce luce levandosi fa brillare per tutti”. La conclusione dell’inno di Isidoro ci riserva un’altra sorpresa: “Io, poi, sono stato informato da altri di un prodigio sorprendente, come egli navigava sulla montagna con le ruote e con la vela”.
Su quest’ultimo prodigio si sono interrogati vari studiosi cercando di identificare riti che potessero spiegarlo. “Ma nel 1936 sono state ritrovate nella seconda corte del tempio di Medinet Madi parti lignee di un traino su ruote, forse un carro processionale, lungo meno di due metri, con quattro ruote piene del diametro di circa 28 cm.; delle tre assi che formavano il piano del traino, quella mediana mostrava al centro un foro, che, nell’interpretazione di alcuni autori poteva essere destinata ad accogliere l’albero maestro con la vela, ed essere quindi una riproduzione o copia del carro inventato da Amenemhat III”.
Poiché è impossibile navigare sulla montagna con le ruote e con la vela anche la Bresciani ipotizza che si trattasse di uno sport o di qualche spericolata esibizione che comportava bravura e coraggio da parte di Amenemhat III, tanto da meritare la citazione di Isidoro.
Il traino con una vela moderna è conservato nel Visitor Center di Medinet Madi.

Gilberto Modonesi
1) B. Mathieu, Mais qui est donc Osiris? Ou la politique sous le, linceul de la religion, in ENiM 3, pagg. 77-107.
2) M. Smith, Following Osiris, Oxford, 2017, pagg. 130-133.
3) Si può leggere la traduzione integrale del Papiro nel volume di Bresciani, Letteratura e poesia dell’antico Egitto, Einaudi, Torino 1999, pagg. 183-192.
4) Ph. Derchain, Snefru et les rameuses, in RdE n. 21/1970, pagg. 19-25.
5) Bresciani, 1999, op. cit. pagg. 188-191.
6) Ph. Derchain, 1970, op. cit. pag. 23.
7) Erodoto, Le Storie, libro II, cap. 126, la traduzione dal greco è di Alan B. Lloyd. Questo racconto di Erodoto sembra una barzelletta: ci possiamo immaginare un uomo che si reca al bordello portando con sé un blocco di pietra di parecchi quintali?
8) M. Baud, Une épithete de Radjedef et la prétendue tyrannie de Cheops, in BIFAO 98/1998, pagg. 15-30.
9) R. Leprohon, The Great Name. Ancient Egyptian Royal Titulary, 1994 : la titolatura di Cheope è a pag. 35.
10) La descrizione e traduzione del testo è di A. Elli in Mediterraneo Antico 2015, n. 2f.
11) Erodoto, libro II: il racconto su re Micerino si snoda sui capitoli 29-30-31-32.
12) Rhodopis, nata a Samos, era una schiava costretta a prostituirsi. Venne ricattata dal fratello della poetessa Saffo. Si trasferì poi in Egitto per esercitare liberamente la sua professione durante il regno di Amasi (570-526 a.C.).
13) Erodoto, libro II: cap. 134 e 135: in quest’ultimo capitolo Erodoto si sofferma ampiamente su Rodopi.
14) Molte informazioni di queste note sulla piramide di Micerino sono riprese da un articolo di Christiane Zivie-Coche, Nitocris, Rhodopis et la troisième pyramide de Giza, in BIFAO 72, pagg. 115-138.
15) Diodoro Siculo, Storia Universle, I, 64, 13-14.
16) Plinio, Storia naturale, XXXVI, XXVII, 82.
17) Strabone, Geografia, XXVII, I, 33.
18) E. Bresciani, Iconografia e culto di Premarres nel Fayum, in EVO IX, 1986, pag. 11-24.