Come è ben noto, uno dei miti egizi della creazione ha come protagonista il dio solare Atum. Alle origini il mondo era indifferenziato. Nelle acque del Nun, l’oceano primordiale preesistente, Atum fluttua nell’oscurità, solo e inerte. Risvegliato da un soffio di vita lo spirito di Atum prende coscienza di sé, esce dal Nun e si posa su un tumulo primordiale e qui si masturba.

Un papiro del Brooklyn Museum ci informa che la Dorata, la Divina mano di Ra, chiusa sulla semente divina diventa incinta e che era divenuta una bella giovane femmina. Il papiro di Brooklyn fa iniziare la creazione da Ra, ma nel complesso dei testi egizi è Atum il demiurgo creatore. Atum e Ra sono spesso assimilati essendo l’uno il creatore e l’altro la sua manifestazione. Solo più tardi vengono definite le forme divine solari del percorso quotidiano del sole: Khepri all’alba, Ra nel corso della giornata e Atum al crepuscolo1.
Un testo dei sarcofagi spiega e giustifica la masturbazione di Atum scrivendo sono venuto in esistenza quando le vulve non erano ancora state create e neppure le vagine erano create (Testi dei Sarcofagi, formula 317)2 e il Papiro Bremmer Rhind (28, 27) dà all’atto scurrile una visione poetica: egli pose il suo cuore nella sua mano3.
Grazie alla masturbazione di Atum nascono due gemelli, Shu (lo spazio e la luce) e Tefnut (il calore del sole), e con loro la creazione prosegue la sua evoluzione.
Lo scopo di questo articolo è di seguire lo sviluppo della personificazione della Mano del Dio dalla sua origine alle sue manifestazioni successive fino alla scomparsa di questa figura avvenuta durante il periodo persiano.
I teologi heliopolitani hanno creato due figure divine Iusaas e Nebet-Hetepet, entrambe al servizio di Atum, che si identificano con la vulva.
Entrambe queste due divinità sono state indagate in una articolata monografia da J. Vandier che le segue dal loro inizio fino alla conclusione in tutti i templi del periodo Greco-romano4. Iusaas manifesta l’essenza del principio femminino accanto al demiurgo solitario. È interessante notare che il nome Iusaas si presta a un gioco di parole con iusau (= masturbazione). La sua iconografia è rara e compare solo nei templi greco-romani.
Nebet-Hetepet, che letteralmente significa Signora della soddisfazione (sessuale, naturalmente), talvolta compare con il nome accompagnato da un determinativo che comprende il segno dell’organo femminile: in questi casi Nebet-Hetepet va tradotta come Signora della vulva. L’iconografia di Nebet-Hetepet l’iconografia è abbastanza diffusa in comunione con la dea Hathor5.

Fig. 3 – La dea Nebet-Hetepet rappresentata come una donna che sostiene un’insegna con la testa di Hathor. Nell’iscrizione sottostante i nomi di Hathor e di Nebet-Hetepet indicano che essi sono riferiti a un’unica entità. L’immagine è tratta dalla monografia del Vandier, Iousaas et (Hathor) Nebet-Hetepet, pubblicata da RdE, pl. 4
Fig. 4 – Il contrappeso della collana menat mostra nel ciondolo finale la testa della Dea Hathor appoggiata al simbolo dell’oro. Sulla testa di Hathor un sistro a forma di naos che appartiene alla dea Nebet-Hetepet. Sui due lati di queste immagini campeggiano due gatti (vedi fig. 5). L’immagine è tratta dalla monografia di Vandier, op. cit., pl. 5
La dea Temet è una divinità complessa che svolge ruoli diversi. Come forma animale è rappresentata dal riccio, Il suo nome Temet sembra indicare che questa divinità è la controparte femminile di Atum e in quanto tale è talvolta assimilata alle dee Iusaas e Nebet-Hetepet come mano del dio.6.


Nel Medio Regno, durante gli scavi di Assiut, Chassinat ha scoperto che sui sarcofagi era citata una divinità femminile di nome Djeretef la cui traduzione è semplicemente la sua mano. Di certo Djeretef era una dea locale perché non esistono altre citazioni, oltre a quelle rilevate da Chassinat7.
Data la crescente importanza di Amon nel pantheon egizio non stupisce l’esistenza di inni che attribuiscono ad Amon la creazione: Amon-Ra, il dio che fu il primo a esistere al tempo della Prima Volta. E anche Nessun dio è esistito prima di lui8.
Agli inizi del Nuovo Regno la regina Ahmes Nefertari svolge un ruolo molto attivo nelle funzioni di governo in sostituzione del suo sposo Amosi, il sovrano impegnato nella guerra di liberazione contro gli Hiksos.
Un atto della regina fu la creazione della Casa della Sposa del dio Amon. Questa istituzione durò per tutto il Nuovo Regno e il titolo Sposa del dio Amon (Hemet Netjer)9 rimase in vigore per tutte le regine di questo periodo. Questa funzione aveva certamente lo scopo politico di controllare l’opera del Sommo Prete del tempio di Karnak. Ma essere Sposa del Dio Amon doveva comportare anche doveri religiosi di cui nulla sappiamo.
Con l’inizio dl III Periodo Intermedio, già dalla XXI dinastia, il titolo di Sposa di Amon assunse maggiore enfasi e ad esso venne affiancato anche il titolo di Divina Adoratrice (Duat Netjer). Da notare che il dio Amon e la Divina Adoratrice nelle rappresentazioni hanno la stessa altezza, sono alla pari.
Un inciso. Nel 1858 Mariette trovò nei pressi del tempio di Ptah, a Karnak, una magnifica statua femminile in alabastro identificata poi come Amenirdis I. Quando si volle inaugurare l’apertura del Canale di Suez con un’opera lirica Mariette, ispirato da quella statua, suggerì e aiutò il Ghislanzoni a scrivere il libretto dell’opera Aida musicata da Giuseppe Verdi.

Fig. 8 – Cartellone dell’opera Aida di Giuseppe Verdi rappresentata nel 1994 a Deir el-Bahari davanti al tempio della regina Hatshepsut.
Con il re Osorkon III, della XXIII dinastia, inizia una nuova fase: il re invia a Tebe come Divina Adoratrice la propria figlia, Shepenupet I, con attributi regali10, quindi con poteri superiori a quelli del Sommo Prete di Amon a Karnak. Con questa mossa il sovrano, che risiedeva a Bubasti, rivela l’intento di tener sotto controllo il sacerdozio di Amon e le tendenze secessioniste dell’Egitto meridionale. Questa politica venne seguita dai sovrani successivi. I re nubiani (XXV dinastia) risiedevano nella loro capitale, Napata. I sovrani della XXVI dinastia avevano la loro capitale a Sais, nel Basso Egitto:
- Amenirdis I era figlia del re nubiano Kashta
- Shepenupet II era figlia del re nubiano Piye
- Amenirdis II era figlia del re nubiano Taharka
- Nitocris era figlia del re saitico Psammetico I
- Ankhnesneferibra era figlia del re saitico Psammetico II
- Nitocris II era figlia del re saitico Amasi
La successione delle Divine Adoratrici avveniva per adozione11.
Con le Divine Adoratrici il titolo di Sposa del dio Amon non è più virtuale, ma diventa effettivo, nel senso che la Sposa del dio ha obblighi matrimoniali verso Amon, come quello della fedeltà coniugale assicurata con il celibato.
Le Divine Adoratrici rappresentavano anche la mano del dio Atum-Ra, diventata poi la mano di Amon-Ra.

Questo loro titolo ha ovvi riferimenti sessuali che ci riportano all’atto originario della creazione, della Prima Volta: la masturbazione del dio.
Alcune immagini dei templi mostrano scene caute ma scabrose che rivelano un rapporto intimo tra il dio Amon e la Divina Adoratrice.
I rilievi di una rappresentazione in frammenti mostrano Amon che tende la chiave della vita alla Divina Adoratrice, “un simbolo molto casto della loro unione”12. Due documenti sono più espliciti nel rivelare l’intimità tra Amon e la Divina Adoratrice. Il primo di tali documenti è la doppia rappresentazione che si trova sugli stipiti del portale d’ingresso al tempio di Osiri-Unnofri al cuore del Persea, a Karnak: le immagini mostrano la Divina Adoratrice praticamente avvinghiata ad Amon, con le braccia che passano attorno al collo e alle spalle del dio; inoltre, la sua coscia è appoggiata alla coscia di Amon.




Il secondo documento è una statuetta di ceramica, attualmente alta 13,5 cm., che mostra il dio Amon che stringe tra le sue braccia la Divina Adoratrice seduta sulle sue ginocchia (Museo Egizio del Cairo, C.G. 42199). Ella serra con il braccio destro la spalla di Amon; il braccio sinistro, scomparso, doveva appoggiarsi alla nuca del dio13. Leclant presume che la statuetta completa mostrasse un bacio tra la Divina Adoratrice ed Amon. La statuetta manifesta in modo evidente il rapporto di coppia di Amenirdis (il soggetto femminile della statuetta) con il suo divino sposo Amon.
Nella scrittura dei testi alcuni epiteti sono altrettanto allusivi: Colei che si unisce al dio – Colei che si ricongiunge al dio – Colei che si unisce alle carni del dio14.
Ma come si manifestava negli atti di culto l’unione di Amon e della Divina Adoratrice? Questo aspetto è del tutto ignoto. Si presume che la Divina Adoratrice dovesse stimolare la sessualità del dio, condizione della sua potenza creatrice. Così si evitava il ritorno del caos ed era garantito il ciclo naturale degli eventi tra i quali, fondamentale, la fecondante inondazione del Nilo15.
Gilberto Modonesi
1) J-P. Corteggiani, L’Egypte ancienne et ses dieux, Fayard, Paris 2007, Atum, pagg. 61-65.
2) P. Barguet, Textes des sarcophages du Moyrn Empire, Ed. du Cerf, Paris 1986, Pag. 486.
3) Devo questa citazione al citato volume di Corteggiani.
4) J. Vandier, Iousaas er (Hathor) Nebet-Hetepet, La monografia si compone di vari articoli pubblicati successivamente dalla RdE, negli anni 1964-1965-1966-1968.
5) J-P. Corteggiani, 2007, op. cit., Iousaas, pagg.236-238.
6) J-P. Corteggiani, 2007, op. cit., Temet, p.ag g. 536-537.
7) E. Chassinat, La déesse Djéritef, in BIFAO 10 (1912), pagg. 159-160.
8) J-P. Corteggiani, 2007, op. cit.: Amon, pag. 31.
9) M. Gitton, L’épouse du dieu Ahmes Nefertari, Paris 1981, pag. 32: G. Andreu, La statuette d’Ahmes Nefertari, Musée du Louvre, Paris 1997.
10) Le Divine Adoratrici nelle rappresentazioni sono alte quanto il dio Amon.
11) J. Leclant, Recherches sur les monuments thébains de la XXV dynastie dite éthiopienne, IFAO, Le Caire 1965. Un capitolo è dedicato alle Divine Adoratrici di Amon.
12) J. Leclant, 1965, op. cit., pag. 372.
13) Purtroppo, le teste della statuetta sono andate perdute.
14) Questi epiteti sono tutti riferiti a Amenirdis I, i primi due epiteti provengono dal tempio di Osiri Hekadjet e il terzo dal tempio di Luxor.
15) Robins, Women in ancient Egypt, British Museum Press, London 1998, pag. 153.
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