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I furti nelle tombe

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Alberto ELLI

ladri indicarono questa tomba di questo dio che essi avevano violato

” -, la commissione andò a sud, alla

Valle delle Regine (Abb 4.17 segg.). Qui venne tolta la benda a Paykhor che, benché “stimolato” da un rude

e nodoso interrogatorio, si mostrò incapace di mostrare i luoghi in cui, a suo dire, sarebbe entrato.

I notabili gli dissero: «Va’ davanti a noi alla tomba di cui hai detto: ‘Io ho portato via

le cose da essa’». Il fabbro andò davanti ai notabili a una tomba comune dei figli reali

del re Usermaatra Setepenra (v.p.s.), il grande dio, in cui non si era ancora fatta alcuna

sepoltura e che era stata lasciata aperta, e alla abitazione del lavoratore della Necropoli

Amenemone, figlio di Huy, che è in quel luogo, dicendo: «Ecco i posti in cui sono stato».

I notabili fecero interrogare questo fabbro con un interrogatorio molto più severo nella

Grande Valle, ma non si trovò che conoscesse là altro luogo tranne i due luoghi che

aveva indicato. Egli fece un giuramento per il Signore (v.p.s.) di essere percosso sul naso

e sulle orecchie e di essere impalato, dicendo: «Io non conosco alcun luogo qui tra

queste tombe tranne questa tomba che è aperta e questa abitazione che vi ho mostrato». I

notabili ispezionarono i sigilli delle grandi tombe che sono nella Sede della Bellezza e

dentro le quali riposano i figli reali, le mogli reali, le madri reali, i nobili antenati e

antenate del Faraone (v.p.s.); essi furono trovati intatti

” (Abb 5.1-8).

Sembrerebbe quindi, a meno che non volesse proteggere Pauraa, che la confessione di Pakhor

relativamente al furto nella tomba della regina Isi fosse stata probabilmente ottenuta sotto tortura, o almeno

sotto pressione.

Questa è la versione a noi giuntaci. Ci sono però alcune circostanze sospette.

È degno di nota che a Paser non fu chiesto di accompagnare la commissione ed è strano che l’anno

XVII, terzo mese della stagione invernale, giorno 21, esattamente 15 mesi e 2 giorni più tardi, lo stesso vizir

Khaemuase, facendo una nuova indagine, trovò che la stessa tomba che Paykhor aveva detto di aver

depredato, quella della regina Isi, fu trovata essere stata saccheggiata, con le sue porte di granito spezzate e

tutti i suoi contenuti rimossi (KRI VI 579.7-10).

Poiché tutte le tombe esaminate erano state trovate con i sigilli intatti, probabilmente su istigazione di

Pauraa gli ispettori e l’intero

staff

della necropoli, ritenendosi scagionati dalle due ispezioni

in situ

e non

dando alcuna apparente importanza al fatto che numerose tombe private erano state depredate e che

l’indagine aveva dimostrato come alcuni funzionari erano corrotti

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, organizzarono una grande

manifestazione: in festosa processione attaversarono il Nilo e si recarono fino a Tebe, per rivendicare, con

una dimostrazione tenuta quasi sotto le finestre della casa stessa di Paser, l’integrità del loro operato, messa

in discussione dalle sue accuse, rivelatesi false o grandemente esagerate. Si può leggere tra le linee del papiro

Abbott che Khaemuase e Nesamon erano contenti quanto Pauraa stesso del risultato della loro

investigazione; leggiamo infatti che

i grandi notabili fecero sì che gli ispettori, i capitani e i lavoratori della necropoli e i

capi dei poliziotti, i poliziotti e tutte le squadre (di lavoratori) della necropoli andassero

in giro per l’Ovest di Tebe, in grande folla fino a No

” (Abb 5.10-11).

La sequela di questa dimostrazione ci ha fornito una della pagine più realistiche di storia autentica che ci

siano giunte dall’antichità. È così che ancor oggi possiamo leggere le effettive parole scambiate tra il

popolino trionfante della necropoli, risentito che Paser si fosse immischiato in faccende “non sue”,

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Per Pauraa, evidentemente, il fatto che una sola su dieci delle tombe reali indicate da Paser fosse stata effettivamente

depredata, equivaleva a provare che tutta l’accusa di Paser si fondava su un castello di menzogne, “

sul principio per cui

chi è incolpato di dieci omicidi, ma è riconosciuto colpevole di uno solo, esce immacolato dal processo

”, come

commenta il fatto lo stesso Hovard Carter (H. C

ARTER

,

Tutankhamen

, Milano 1977, p. 2).