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Campo Marzio, mentre ci sono noti i nomi dei costruttori: i tre più antichi

risalgono a Ramesse II, sono stati eretti ad Eliopoli e oggi li troviamo in

Piazza San Macuto (Pantheon), a Villa Celimontana e in Via delle Terme di

Diocleziano; l’ultimo obelisco – originariamente collocato a Sais nel Basso

Egitto – appartiene invece ad Apries (figlio di Psammetico II, VI secolo

a.C.) e oggi si trova al centro di Piazza della Minerva.

Il Rinascimento

Dai fasti della Roma imperiale ci catapultiamo nella Italia rinascimentale

del XVI secolo, pervasa di quella cultura umanistica nata alla fine del Tre-

cento che aveva riportato in auge i classici del mondo greco-romano. Ed

è stato proprio l’Umanesimo – attraverso le parole e il pensiero di alcuni

suoi più illustri esponenti – a riconoscere l’importanza della cultura e del-

la religione dell’Antico Egitto, sottolineando in particolare il grande senso

di sacralità emanato dalle opere d’arte egizie e dalla scrittura geroglifica.

Il filosofo Marsilio Ficino riteneva che la sapienza ebraica fosse erede di

quella egizia, affermando inoltre che le iscrizioni geroglifiche insieme ai

monumenti sui quali erano incise fossero il mezzo attraverso cui si mani-

festavano la filosofia e la sapienza dei sommi sacerdoti egizi. L’umanista

bellunese Giovanni Piero Valeriano in una sua opera sui geroglifici e sulle

antichità degli Egizi riconosceva in loro i “primi interpreti dei fenomeni

del cielo e della terra”. Alquanto simile era il pensiero del più illustre Gior-

dano Bruno secondo il quale gli egizi erano stati i primi a capire come il

mondo naturale fosse un mosaico di quello divino. Tutto ciò ha portato

alla formazione di un sincretismo sempre più forte fra la sacralità egizia,

l’Antico Testamento e il cattolicesimo romano. La Chiesa cattolica era in

pieno periodo di Controriforma, aveva la necessità di rinnovarsi e riorga-

nizzarsi, e una forte spinta verso il raggiungimento di questi obiettivi l’ha

avuta dall’Umanesimo e dalla riscoperta dei legami col mondo latino. Il

papato romano, considerandosi in un certo qual modo erede della gran-

dezza della Roma imperiale, ha esteso ancor di più questi legami col pas-

sato arrivando ad abbracciare anche il mondo egizio del quale proprio

nell’Urbe esistevano numerose testimonianze. I pontefici stessi hanno

cercato di fare propria l’eredità culturale egizia, basti pensare al bue raf-

figurato nello stemma araldico di papa Alessandro VI che richiama alla

mente il dio Api, o ancor di più la rappresentazione del mito di Iside e

Osiride realizzata dal Pinturicchio nell’appartamento Borgia in Vaticano.

Papa Sisto V è rimasto a capo dello Stato Pontificio per circa un lustro, dal

1585 al 1590. Contrariamente ai suoi predecessori, nutriva per il pagane-

simo un’avversione tale da indurlo a distruggere molte opere classiche

che la capitale conservava, vedendo in queste una forte testimonian-

za delle religioni del passato. Gli obelischi egizi costituiscono una delle

poche eccezioni, una forma d’arte e una simbologia del mondo antico

verso la quale il pontefice ha mostrato rispetto e ammirazione. Erano

monumenti carichi di sacralità e contemporaneamente rappresentava-

no uno dei più alti livelli tecnologici raggiunti dall’ingegno umano, due

fattori che hanno portato Sisto V a elaborare un ambizioso progetto di

restaurazione di quei monoliti, un progetto finalizzato soprattutto a ricol-

locare Roma al centro del mondo (come lo era stata al tempo degli impe-

ratori) attraverso la realizzazione di opere grandiose che consolidassero

il legame fra passato e presente: l’obelisco, materializzazione del raggio

dell’antico sole che illuminava il passato, diventava il simbolo del “nuovo

sole” rappresentato dal cattolicesimo romano.

Obelisco Vaticano dettaglio / ph P. Di Silvio