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quanto provenienti dalla mastaba di Nefermaat, figlio del

faraone Snofru (Antico Regno, IV Dinastia, 2575-2551 a.C.)

e di sua moglie Atet, situata proprio a Meidum.

Quest’opera rappresenta uno dei rari casi in cui l’artista ha

utilizzato la pittura con colori minerali su stucco, una tecni-

camolto differente dall’affresco. Questo dipinto, nonmolto

grande (cm. 27 di altezza; cm. 172 di lunghezza), ora al

Museo del Cairo è in ottimo stato di conservazione, rap-

presenta simmetricamente, e divise in due gruppi specu-

lari, sei oche. Addirittura, attraverso la resa molto realistica

del piumaggio, si è riusciti a individuare le specie di queste

oche: la Lombardella e la Barnacle. Considerati animali

sacri, inoltre, potrebbero avere anche una valenza simbo‑

lica: rappresenterebbero, infatti, l’Alto e il Basso Egitto.

L’oca è anche un geroglifico, “sa”, e significa “figlio”. Un’altra

rappresentazione molto caratteristica è l’ispezione del be‑

stiame proveniente da una tomba della XVIII Dinastia

(Nuovo Regno, 1550-1307 a.C.) dove il colore è usato per

distinguere gli animali (fig. 10). Altre

rappresentazioni costituite da rilievi

provengono dalla mastaba di Idut, a

Saqqara probabilmente figlia di Unis,

vissuta tra la fine della V e l’inizio della

VI Dinastia (fig. 11 e 12).

Il concetto di colore

Gli Egizi avevano conoscenze notevo-

li per quanto riguarda le tecniche di

produzione dei pigmenti dai quali poi

ottenevano i colori. Queste infor-

mazioni ci sono pervenute da due

papiri: il cosiddetto Papiro X conser-

vato presso l’Università di Leida e l’al-

tro presso l’Accademia Svedese delle

Antichità di Stoccolma. Probabil-

mente si tratta dell’opera di uno stesso autore del III sec. d.C. che racco-

lse ricette su come venivano prodotti i colori, non solo in Egitto, rivelando

allo stesso tempo, notevoli conoscenze anche dal punto di vista chimico.

In geroglifico la parola colore era espressa con il termine “iwen” (fig. 13)

che poteva anche indicare l’aspetto esteriore, la natura, l’essenza dell’og-

getto rappresentato. I colori egiziani sono stati divisi in due categorie:

naturali e sintetici. I primi sono ottenuti dai minerali presenti nel Paese e

i secondi da particolari processi chimici. Sono naturali, il rosso, il bianco e

il nero. Il rosso (dshert) (fig. 14) poteva essere prodotto dalla macinazione

delle ocra rosse, che si trovavano soprattutto nel Basso Egitto. Con que‑

sto colore venivano dipinte le figure maschili, era associato al disco so-

lare, divenne simbolo del fuoco e naturalmente del sangue. Il deserto era

rappresentato in rosso. Colore potente, caldo, simbolo di vittoria. Anche

durante le celebrazioni si dipingevano il corpo con ocra rossa. Può es-

sere sia benefico sia distruttivo. Esso veniva utilizzato anche per enfatiz-

zare i capitoli, i nomi delle entità pericolose e i giorni nefasti. Il bianco

(Khdj) (fig. 15) corrispondeva all’argento e simboleggiava la gioia e il trion-

fo. Anche le vesti degli dei erano bianche, così i tessuti di lino e i lenzuoli

funerari; naturalmente lo erano anche le vesti dei sacerdoti, in quanto

simbolo di purezza spirituale. Incorporava anche il concetto di luce. Du-

rante la XIX Dinastia (Nuovo Regno, 1307-1196 a.C.) si otteneva questo

colore mescolando la calce del gesso (carbonato di calcio) con l’anidrite

(solfato di calcio). In seguito venne prodotto un bianco più intenso ricava-

to da un minerale molto raro, la huntite (carbonato di magnesio) che si

fig 5 / Il diagramma più recente; da op. cit., 1985, p. 61.

fig 6 / La figura umana e rappresentazioni di animali; da op. cit., 1985, p. 60.

fig 7 / Un Nubiano, rappresentazione dalla Tomba di

Ramesse III (n.11); da A.M. Donadoni Roveri, La Valle

dei Re, 1985, p. 53.