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fig 11 / Dalla Mastaba di Idut; da E. Leospo, Saqqara e Giza, 1982,
p. 29
fig. 12 / Dalla Mastaba di Idut; da E. Leospo, op.cit., 1982, p. 29
testimoniano che i possedimenti agricoli dei primi faraoni, non dei
possedimenti da dove semplicemente ricavavano i loro prodotti
ma già questi avevano assunto un chiaro valore simbolico. Per
esempio, il re Den della Prima Dinastia, (Antico Regno, 2920-2575
a.C. circa), definiva il suo vigneto “Il recinto del corpo di Horus”. Allo
stesso modo, la vigna del re Khasekhemui della II Dinastia (Antico
Regno, 2770-2649 a.C. circa) era detta “Lodate siano le anime di
Horus”. Anche il re Djoser della III Dinastia (Antico Regno, 2649-
2575 a.C. circa) aveva una vigna chiamata: “Lodato sia Horus che
presiede al cielo”. Quindi, fin dall’inizio, i defunti morti e glorificati
sono dei privilegiati che ricevono e consumano prodotti che assi-
curano loro l’eterna felicità. Anche i testi letterari, a cominciare dai
cosiddetti Testi delle Piramidi, confermano che i re defunti si nu-
trono con “fichi e vino”, prodotti che si trovano nella “vigna del dio”.
Inoltre il vino è presente nelle liste di offerta rappresentate sulle
pareti tombali e sulle stele funerarie. Durante l’Antico Regno il vino
appare graficamente sullo stesso piano dell’acqua purificatrice,
dell’incenso e degli olii essenziali, perciò il vino assume un valore
di fondamentale importanza e fu collegato a varie divinità: “la mia
acqua è vino come quello di Ra”; “Il cielo è gravido di vino, Nut ha
generato sua figlia l’alba-luce”. Questa ultima citazione evoca una
associazione tra il vino e il sangue del parto e il sangue del parto
unicamente in base al simbolismo del colore.Altre divinità hanno
significativi riferimenti con il vino: Hathor, la dea-vacca alla quale si
celebra la festa dell’ebbrezza; Sekhmet, la dea leonessa che con-
sidera sangue una bevanda di colore rosso. Ma è senz’altro Osiri il
dio più strettamente legato all’uva e al vino. Spesso viene rappre-
sentato in trono sotto un chiosco con una tettoia da cui pendono
sempre grappoli di uva nera. La trasformazione del mosto in vino
è una metafora della rinascita di Osiri, così come di ogni defunto.
La vigna e l’uva evocano l’inondazione e con essa la certezza di
sopravvivenza e di abbondanza per l’Egitto. Il vino è associato per
il suo colore al sangue e all’acqua vivificante dell’inondazione ed
entrambi, il vino e l’inondazione, sono simboli della morte e della
resurrezione di Osiri. Il valore rigenerante del vino per i defunti
vale anche per l’uva. Il simbolo del sangue del dio Osiri morto e i
significati mistici della vigna e del vino si affermano anche in epoca
greco-romana (332 a.C.; 395 d.C.) come promessa per ogni egizia-
no. L’iconografia cristiana si dice sia stata influenzata da queste
simbologie, soprattutto nella rappresentazione dell’Ultima Cena
quando
Cristo
porge ai discepoli
una coppa di vino
con le parole
“Bevetene tutti,
questo il mio
sangue”. “Gesù è
il tronco da cui
sono germogliati i
tralci e insieme la
totalità della pianta”; “io sono la vera vite e il padre mio è il vig-
naiolo”. Sulla equivalenza del vino al sangue nel contesto della
resurrezione, l’iconografia cristiana ha sviluppato l’impresion-
ante tema del torchio mistico: Cristo è rappresentato sotto un
torchio, concepito come uva da schiacciare per raccogliere in
una tinozza il sangue divino, promessa di resurrezione.
fig. 20 / Scena di vendemmia; da A.A.E., op.cit., 1985, p. 191
MariaGrazia
Mimmo
Ha conseguito la Laurea in Lettere pres-
so l’Università degli Studi di Roma “La Sa-
pienza”, (con il vecchio ordinamento,
105/110) con tesi in Egittologia, sul pro-
gramma decorativo delle tombe della
XXVI Dinastia nella valle dell’Asasif. Suc-
cessivamente, ha conseguito la Specializ-
zazione in Archeologia Iranica, (vecchio
ordinamento, 55/60), presso l’Università
degli Studi di Bologna...
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