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A questo punto, quindi, è doveroso restituire dignità ad un mondo

tanto elegante, profondamente colto e ingiustamente “maltrattato”;

in nostro soccorso accorre la cultura materiale che ci permette non

soltanto di intuire le profonde ideologie che costituiscono l’anima

degli incontri conviviali, ma anche di ricostruire gli ambienti e gli ar-

redi delle stanze adibite a tali occasioni. Innanzitutto però, bisogna

chiarire un aspetto di primaria importanza; vi è una sostanziale dif-

ferenza tra la pratica del banchetto ed un pranzo quotidiano. Infatti,

le aristocrazie che vengono ritratte in atteggiamenti conviviali en-

tro scenari eleganti e riccamente predisposti, concepiscono il ban-

chetto ed il simposio come un vero e proprio rituale inteso come

un insieme di gesti ripetuti e codificati che celano una precisa sim-

bologia: il riconoscimento e l’accettazione sul piano sociale, l’esalta-

zione di uno spirito di appartenenza tra membri che si riconoscono

come facenti parte di una cerchia ristretta, nelle cui mani stanno le

redini economiche e politiche delle città. Ma prima di soffermarsi

su quelle che definirei “opere colte” della grande arte etrusca, vale

la pena spendere qualche parola sulla dieta e sugli ingredienti delle

ricette. Negli ultimi tempi si stanno conseguendo notevoli progressi

in merito alla paleonutrizione; i resti faunistici e i reperti osteologici

lasciano una ricca serie di informazioni. Ad esempio, il ritrovamento

di ossa di selvaggina presso tracce di fuoco in un contesto di abitato

o su un qualsiasi piano di vita, testimonia la presenza di un focola-

re in cui si cuocevano le carni, che rappresentavano uno degli ali-

menti base. Bovini, ovini e suini allevati, ma anche selvaggina tra cui

cinghiali e lepri erano molto richiesti, in quanto fonti indispensabi-

li di proteine. Sul piano della cultura materiale, il recupero di calde-

roni di bronzo, alari, graticole e spiedi attesta che le carni venivano

cotte o arrostite direttamente sul fuoco. La caccia dunque, oltre ad

essere attività ludica aristocratica, era anche una fonte di approv-

vigionamento in cui gli Etruschi erano davvero molto abili, come te-

stimoniano le armi, le lame e i coltelli recuperati, ma anche affreschi

tarquiniesi. Anche l’attività ittica era molto sviluppata; dalla lettura

delle fonti si apprende che lungo le coste selvagge e aspre del Mar

Tirreno erano stati apprestati luoghi di avvistamento per il passag-

gio dei tonni.

Strabone, una tra le varie fonti che ci lasciano informazioni preziose sui prodotti della dieta etrusca, raccon-

ta un fatto molto curioso: sembra che fosse ampiamente diffusa la pratica del ripopolamento periodico con

pesci d’acqua salata, tanto che presso gli antichi, i laghi d’Etruria erano noti proprio per la pescosità. La terra

d’Etruria produceva di tutto; chicchi di grano carbonizzati ma anche grandi dolii per la conservazione dei

cereali e delle derrate attestano una coltivazione intensiva che, grazie all’introduzione di strumenti in ferro, ri-

cevette un forte impulso; in epoca romana, prima del 31 a.C., l’Etruria divenne il principale partner commerciale

di Roma, nonché vero e proprio granaio di “riserva” nei momenti in cui l’Urbs si trovava costretta a combatte-

re le carestie. Pestelli e macine in pietra, orci e olle di impasto, sono testimonianze della lavorazione dei cereali

nella sfera domestica, quando le donne di casa o i servi si apprestavano alla cura del focolare e alla prepara-

zione dei pasti. Dalla lettura delle fonti, sembra che il “piatto” preferito dagli Etruschi fosse la minestra di farro,

pertanto anche questo cereale, assieme al grano tenero da cui si ricavava la farina per il pane, era conosciuto e

molto apprezzato. Un altro alimento assai diffuso e presente su tutte le tavole era il formaggio e tutti i prodotti

della lavorazione casearia; il latte di ovini, bovini e caprini era lavorato dai pastori, la cui produzione si specificò

talmente tanto che in alcune città sorsero botteghe rinomate. Tra queste, Plinio ricorda la produzione di Luni.

Il tutto era poi completato da frutta e verdure di stagione; molto conosciuta era la frutta secca, su cui insiste

Plinio, esportata a Roma e utilizzata come ingrediente base per la preparazione di pietanze dolci se impastata

conmiele e spezie di vario tipo. Ma la terra d’Etruria era anche grande produttrice di olio d’oliva, che dal VII sec.

a.C. viene lavorato localmente, per poi essere importato direttamente dalla Grecia alle soglie del secolo suc-

foto 1 / Atleta con strigile / Apoxyomenos / Lisippo

ph Marie-Lan Nguyen Wikimedia Commons