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A questo punto il blocco subiva un primo

processo di modellatura e si procedeva

quindi al trasporto, che avveniva sia con slit-

te trainate da buoi o da numerosi operai,

oppure con barche lungo il corso del Nilo. Si

trattava di vere e proprie imprese, degne di

essere menzionate nelle tombe. Gli stru-

menti utilizzati erano principalmente seghe,

trapani, scalpelli, mazzuoli lignei e martelli

litici. Molto spesso si ricorreva a polvere

abrasiva, utilizzata insieme a seghe e trapa-

ni a causa del materiale, in genere bronzo,

non particolarmente resistente con cui era-

no prodotti. L’ultima fase della lavorazione

era la lisciatura con l’ausilio di pietre strofi-

nate contro la superficie granitica, ovvia-

mente con l’aiuto di polvere abrasiva umidi-

ficata. Della fine del processo di lavorazione

abbiamo parecchie attestazioni all’interno

di tombe. Una scena molto interessante la si vede raffigurata nella parete est della cappella di

Ibi

, figlio di

Wp-

m-nfrt

, vissuto al termine delle V dinastia. La scena mostra due operai mentre, con strumenti simili a pietre,

lisciano il coperchio di un sarcofago dalla forma tipica del

qrSw

. Sopra ai lavoratori si leggono alcune scritte

geroglifiche che ci permettono di capire il modo in cui il lavoro venisse eseguito. Ecco ciò che possiamo legge-

re: in alto corre una riga orizzontale con scritto

, Snaa qrSw,

“per levigare un sarcofago”; tra i due

operai intenti a quest’opera si legge

,

di mw di Sa(y)

,“dai acqua, dai sabbia” e, sulla testa di un ope-

raio

,

sS pw,

“il lucidatore”. Come buona parte delle sepolture dell’antico Egitto, anche la tomba dell’ignoto

proprietario del “nostro” sarcofago fu violata e lo stesso sarcofago aperto. Non ci è dato sapere ovviamente

quando ciò avvenne, anche se da alcuni testi siamo a conoscenza di rivolte popolari scoppiate alla fine dell’An-

tico Regno, con il saccheggio di alcune sepolture.

Giuseppe Parvis nacque da una famiglia contadina di modeste condizioni economiche a Breme di Lomellina

(PV) nel 1831 e terminò la vita terrena a Saronno (VA) nel 1909. Si stabilì dapprima a Casale, in seguito a To-

rino dove imparò e raffinò l’arte dell’intaglio presso la bottega del professor Moncalvo. Fu un brillante allievo

dell’Accademia Albertina. Successivamente lavorò per alcuni anni in una delle migliori botteghe parigine come

scultore ed intagliatore, dove accrebbe la conoscenza delle tecniche di quelle arti. Cercò anche di distinguersi

come patriota nella guerra d’Indipendenza, arruolandosi volontario nel 1859. Non partecipò però a nessuna

operazione bellica in seguito alla firma dell’Armistizio di Villafranca

9

. Nello stesso anno si trasferì in Egitto dove,

l’anno seguente, convolò a nozze con Elena Garcias, una donna nata in Egitto, ma di origini spagnole, dalla

quale ebbe dodici figli, tre dei quali morirono in tenera età a causa del colera che a quei tempi era endemico.

In Egitto conobbe e diventò amico di Clot Bey, un medico francese che il Khedive Ismail aveva posto alla Sanità

nel tentativo di debellare proprio la piaga del colera. Il Bey gli diede un alloggio e lo presentò al Khedive che

gli commissionò dei lavori nelle ville e nei palazzi costruiti in quell’epoca. Nel frattempo imparò a conoscere

le bellezze dei monumenti arabi antichi, giungendo ad innamorarsene. Iniziò quindi tutta una serie di studi,

raccogliendo nei suoi taccuini note, dettagli e disegni che in seguito gli furono di grandissima utilità.

Per facilitarne gli studi il Khedive gli diede un lasciapassare, mediante il quale poté penetrare nelle più belle

moschee e copiarvi quanto vi era di notevole dal punto di vista artistico. Ben presto si distinse per le sue quali-

tà come artista: fu l’autore della decorazione interna del teatro di Zizinia ad Alessandria ed in seguito del teatro

dell’Opera del Cairo (che finì distrutto da un incendio nel 1971). Aprì, insieme all’avvocato Tito Figari, la prima

scuola italiana al Cairo. Strinse una profonda amicizia con il fondatore del Museo Egizio del Cairo, il francese

Auguste Mariette, che in virtù delle sue abilità artistiche gli commissionò il restauro di molti oggetti del nascen-

te Museo in precarie condizioni di conservazione. Forse il più importante di questi fu la celeberrima statua

lignea del cosiddetto “sindaco del villaggio” Shekh el-Beled, della quale restaurò la parte inferiore. Ebbe anche

notevole notorietà come disegnatore e costruttore di mobili ed oggetti creati ad imitazione degli stili egizio-fa-

9 Concluso da

Napoleone III di Francia

e

Francesco Giuseppe I d’Austria

l’11 luglio

1859

, pose le premesse per la fine della

seconda guerra d’indipendenza

.

foto 2 / L’interno della ditta “G. Parvis-Cairo”