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archeoricette

Cibo! Ancora ci bo? Ov unque si parla di cibo !

Siamo circ ondati , dobbiamo a rrenderci? Par -

tendo dal presupposto che nelle vita c’è di peg-

gio, mi sento di rassicurarvi, per quel che vale

il mio pensiero: al cibo ci siamo arresi, da sem-

pre, Egizi compresi!

Abbandono il cibo, ma solo per qualche riga.

Esisteva una vecchia pubblicità televisiva il cui

slogan era: “ basta l a p arola”. N ei perc orsi

mental i che mi portano a c ollegare elem enti

apparentemente di stanti, spesso mi v iene

anche da affermare: “Se qualcosa è stato defi-

nito in u n vocabolario, all ora esi ste”. Lo pe n-

savano anche gli Egizi, infatti pronunciare con

il giusto tono di voce o semplicemente scrivere

una paro la ne a vrebbe gar antito la sua es i-

stenza e dinamicità! Tranquilli, per quanto ap-

passionato all ’antica c iviltà e gizia non

attribuisco al vocabolo il valore performativo

che loro gli fornivano.

Metto insieme parole e cibo, o meglio gerogli-

fici e cibo. Cosa ne viene fuori? Ri spondendo

con una battuta: pancia piena senza mangiare.

La vita delle donne, uomini, animali e divinità

della Valle del Nilo er a imprescindibile dal ri -

tuale (non so lo in teso da un pu nto di v ista

sacro) dell’alimentazione. Nel prendere atto di

questa “veri tà”, m i addent ro in quest o fitt o

“mistero” sul cibo, partendo dal lo stracono-

sciuto e familiare hotep – di - nesu. Formula o

incipit, per l ’esattezza, d i una f rase talmente

familiare e studiata meccanicamente che, pur-

troppo, ha perso il fascino del significato.

“Dono che dà il re” è la traduzione usuale.

Dai sa rcofagi a i co fanetti per le suppell ettili,

dalle anfore ai papiri, il r e continua a donare

qualcosa! Anche con un’analisi grossolana ap-

pare evidente che g li og getti sop ra ind icati,

che s i ved ono esposti nei musei con s opra

quel testo, appartengono a qualsiasi de funto

che poteva permetterseli. La presenza della

formula non era, quindi, a esclusione del so-

vrano, soprattutto dal Medio Regno in avanti.

Perché nasce questa frase? Con buone proba-

bilità ra cconta ed evidenzia il ruolo di p rimo

sacerdote che il faraone incarnava; in quanto

intermediario tra il mondo terreno e quello di-

vino, era responsabile dei riti da compiere, of-

ferte o sacrifici c ompresi, a favore de lle

divinità.

Qui entra in c ampo il v alore performativo at-

tribu ito alle parole e il c arattere p ragmatico

degli Egizi. In vita, il faraone, non potendo es-

sere presente in contemporanea in tutti luoghi

in cui si o fficiavano i riti p er le divinità , dele-

gava questo compito ai diversi sacerdoti locali,

garantendo al tempo stesso la sua presenza

attraverso le immagini (statue o raffigurazioni

parietali) e formule, hotep – di- nesu compreso.

Un volta d efunto, la p resenza della formula

avrebbe consentito al faraone d i continu are,

come in vita, a svolgere i suoi riti.

Qual è il dono? Cosa regalava il re alle divinità?

Cibo! Ci risiamo, il cibo è ovunque. Alimenti do-

nati affinché l e d ivinità f ossero soddisfatte e

mantenessero l’ordine cosmico.

Ne siamo sicuri? S i (dando per certo di non

avere d ubbi sulle traduzioni) ; dobbiamo ag-

giungere altri d ue e lementi so litamente pre-

senti in questa formula: peret – heru, tradotto

come “i nvocazione”, e a lcuni s ostantiv i; i l ri -

sultato è : “Dono che i l re da (alla di vinità X )

affinché egli faccia un’invocazione d i pa ne,

birra, di buoi e di uccelli.” Alimenti! Cibo!

Non ne veniamo fuori! Nutrirsi è un’azione fon-

damentale che ha sempre “preoccupato”

l’Uomo e lo ha costretto a aguzzare l’ingegno

hotep

di

nesu

di Generoso Urciuoli