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lizziamo i nserito nel discorso della produ -

zione, degli scambi commerciali, etc. etc. etc.,

cambia, almeno per me!

Torno a ll’immagine de ll’uomo co n in mano

uno spiedo e mi accorgo che ha un ventaglio

in mano.

Come si poteva modulare l’intensità del fuoco

per cuocere gli alimenti? La risposta è anche

in quell’immagine: con l’utilizzo di un venta-

glio (e vari altri espedienti). Cuocevano supie-

tra o consumavano i cibi crudi che andavano

mangiati cr udi. Cuocevano con la tecnica

dell’arrosto e del bollito, insomma, non di solo

pane e birra viveva l’abitante della Ta Mery e

sopratutto usava le pentole. Il discorso sui

forni per cuocere il pane è altrettanto avvin-

cente. E si parla sempre e solo di cibo!

Poi, c he gli Egizi avessero u n de bole pe r il

cibo (come tutti noi) mi sembra ampiamente

supportato dalle trac ce che loro stessi ci

hanno lasciato; inf atti, erano fermamente

convinti di doversi procurare il cibo suffi -

ciente per l’eternità e per farlo hanno escogi-

tato molt e s oluzioni, comprese quelle di

ricorrere alle formule magiche. Con fidando

che le parole si tramutassero in realtà, si affi-

davano a frasi scritte su papiro o su altro ma-

teriale, come : “Prendi il tuo pane che non

muffisce, la tu a bi rra che n on in acidisce!”.

Con la stessa speranza si delegava tale com-

pito alle rappresentazioni su pareti o ai mo -

dellini in l egno decorati di produttori di cibo:

il tutto finalizzato a soddisfare le esigenze

alimentari d el d efunto. R icorrere alla sfe ra

magica era più semplice che mettersi lì a pre-

parare i manicaretti e un modo per non ritro-

varsi senza scorte era qu ello di “Dire le

parole: Fame non venire da Teti. Vattene […]

poiché Teti è sazio; non ha fame Teti, per quel

pane di Horo c he e gli h a ma ngiato, che ha

preparato per lui la grande cuoca, perché egli

se ne saziasse e perché tornasse al suo stato.

Teti non ha sete […] Amset, Hapi, Duamutef e

Qebehsenuf [ i quattro figli d Ho rus nda] al-

lontanano qu esta fame che è n el ventre di

Teti, questa sete che è nelle labbra di Teti”.

Tutti i giorni presso la tomba del defunto do-

vevano essere portati cibi e bevande, affinché

venisse consumato il ban chetto ritu ale alla

sua presenza, che era garantita grazie a una

statua o alla stele d’offerta (prassi diversa a

seconda delle epoche). La stele, un elemento

verticale in p ietra decorato con le immagini

del defunto e con l’elenco preciso della quan-

tità di alimenti a sua disposizione, diventava

un elemento imprescindibile per la sopravvi-

venza nell’al di là.

Ricapitolando:

- cibo fisicamente portato dai vivi e lasciato

su tavole, bacili o altari d’offerta per officiare

il rito quotidiano;

- formule da recitare per allontanare lo spettro

della fame;

- attestazione di quanto spettante tramite la

stele.

A tutto questo, va aggiunto il cibo lasciato di-

rettamente nella camera del de funto: pani ,

carrube, frutti, carne di anatra seccata e sa-

lata, cosce di bue, birra, vino. E non è il solo

corredo del già citato Tutankamon a lasciarci

queste informazioni (pensiamo alla tomba di

Kha o degli Ignoti al Museo Egizio di Torino o

a tante altre sepolture).

L’eternità è l unga e l’appe tito vien m an-

giando.

Insomma, ricostruirò solo r icette, ma a ben

vedere, lo facevano già nell’antichità!

[Approccio m etodologico I II] Archeoricette

non nasce per essere una “rievocazione sto-

rica” e nella mia mente è molto chiaro il con-

fine tra comprensione e adattamento,

ricostruzione e rielaborazione, studio filolo-

gico e lavoro che si concretizza sui fornelli: se

possono essere ricostruiti i contesti con una

relativa credibilità è praticamente impossibile

la traduzione sul piano pratico dell’esperienza

dei sapori. Sono cambiati gli alimenti (anche

se sempre gli stessi) sono cambiati gli attrezzi

(anche se sempre gli stessi). Sono consape-

vole ch e l a fedeltà filolo gica no n sia l’ ele-

mento principale per rievocare un’emozione

o un gusto ed il tentativo è di fornire diversi

spunti pe r c omprendere “come poteva e s-

sere” : ecco il perché del contorno storico che

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archeoricette