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rirono misteriosamente ed al loro posto com-

parvero croci ansate dipinte che furono identi-

ficate dai cristiani come segno di salvezza.

Seppure permeata di elementi leggendari

che, ad un'analisi archeologica possono risul-

tare scarsamente attendibili, la testimonianza

di Rufino evidenzia un processo in atto che

portò alla rilettura ed all'assimilazione di ele-

menti stilistici ed iconografici desunti sia dal-

l'ambiente ellenistico tardo-antico, dal quale

era permeata la società egiziana dopo il pe-

riodo tolemaico-romano, sia da quel substrato

propriamente egizio che verrà progressiva-

mente svalutato dalla fase “augustea” per es-

sere relegato ad un livello sempre più

“etnografico”, ridotto ad esclusivo appannag-

gio delle classi subalterne.

Come sottolinea Sergio Donadoni nel suo

contributo in occasione del XXVIII Corso di Cul-

tura sull'Arte Ravennate e Bizantina, è inevita-

bile che la realtà locale tenda a regredire ed

appropriarsi della cultura altrui, quella che dà

prestigio ed il cui possesso permette di parte-

cipare ai vantaggi della borghesia urbana.

Gli stessi sacerdoti preposti all'ufficio degli

antichi culti, che per primi dovrebbero farsi de-

positari della tradizione, compaiono spesso in

statue alla maniera ellenistica, abbigliati con

abiti classici seguendo una tendenza opposta

a quella che si era verificata sotto i Tolomei. Le

immagini popolari di culto, dunque, escono

dagli schemi faraonici e ne acquisiscono di el-

lenizzati; “L'Egitto diviene elemento di esoti-

smo nel suo stesso paese, di cui si riescono ad

assumere temi iconografici specifici ma non

certo le qualità intime” (S.Donadoni, 1981).

L'antica cultura, divenuta isola di “arcaicità il-

lustre e pittoresca ma non vitale”, per quanto

accuratamente tenuta segregata e artificiosa-

mente carezzata, appare oramai partecipe di

una cultura e di un mondo che sono generica-

mente quelli mediterranei e romani.

Alla luce di tali considerazioni, come lo

stesso Donadoni conclude, è da escludere che

l'arte della comunità cristiana d'Egitto, dotata

di propri peculiari caratteri e linguaggio svilup-

patosi come realtà autonoma, venga giustifi-

cata nella definizione della sua personalità

dalla presenza nel paese di quella massa di po-

polazione di tradizione non greca che, con la

crisi della classicità, sarebbe finalmente riu-

scita a riaffermare le proprie esigenze cultu-

rali. Sarebbe dunque errato ritenere la vecchia

arte faraonica un fermento represso del potere

romano ma dotato di vitalità e vigore latente

che determinano una rinascita di antichi desi-

deri formali. Il mondo faraonico, le sue ideolo-

gie e le sue iconografie erano ormai in

inarrestabile declino, ridotte a semplici schemi

tipologici ed affidate alle classi più misere ed

incolte, pertanto condannate all'oblio.

Escluse sporadiche eccezioni, dunque, una

tale origine dell'arte copta deve essere ricon-

siderata; essa va intesa invece come la forma

assunta in Egitto dall'arte tardoclassica prima

e da quella bizantina poi, mentre le cadenze

del suo linguaggio devono essere considerate

alla luce della cultura imperiale alla quale

l'Egitto partecipa ormai interamente.

Sarebbe pertanto errato considerare una re-

altà complessa come quella che traspare dai

rilievi e dai dipinti copti come una semplice

propaggine dell'arte bizantina e tardoclassica.

In essa, infatti, convergono e si fondono molte-

plici esperienze dialettali che vanno dalle raf-

finatezze alessandrine della capitale fino alle

rustiche terrecotte popolaresche dei villaggi

egiziani ancora intrise delle ataviche remini-

scenze faraoniche.

Inevitabilmente, dunque, ad una ricerca mi-

rata appariranno numerosi i riscontri puntuali

con particolari faraonici: le colonne presen-

tano ancora foglie di palma come quelle che

C U L T U R A

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Figura 6 - Bawit, Cappella XXVIII, abside est

: nicchia dipinta

con Madonna che regge un medaglione contenente l'immagine

del Bambino (Badawy, 1978).