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profonda conoscenza del mondo antico e la sua grande intuizione non lo abbandonò nemmeno in occasione

della ricognizione e dello scavo dei due tumuli localizzati presso la necropoli di Fonte Rotella; infatti, proprio in

quell’occasione, il giovane recuperò il cratere che, in virtù della forma, delle dimensioni, dei registri decorativi

e delle nuove convenzioni iconografiche non ancora riscontrate prima del 580 a.C., è considerato un vero e

proprio unicum della ceramografia, segnando inevitabilmente un momento fondamentale nella storia delle

importazioni attiche in Etruria. Oggi non è soltanto il simbolo della città di Chiusi ma è anche e soprattutto il

segno tangibile della grande apertura commerciale e culturale verso il Mediterraneo, la Grecia e l’odierna Tur-

chia occidentale, che ha comportato, come felice conseguenza, l’adozione di mode e stili accolti e rielaborati

localmente in Etruria.

Dunque, era l’autunno inoltrato del 1844 quando il François inaugurò le indagini archeologiche di due tumuli;

le prime operazioni di scavo rivelarono che le due strutture erano state violate e depredate già in antico, per

cui parte dei corredi era andata irrimediabilmente persa. I tombaroli che erano riusciti a violare la tomba, spez-

zarono intenzionalmente il cratere riducendolo in grossi frammenti che furono disseminati tra dodici stanze e

due corridoi. Il 3 novembre del 1844 furono recuperati i primi frammenti pertinenti al cratere; questi furono

immediatamente affidati alle mani esperte dei restauratori Vincenzo Manni e Giovan Gualberto Franceschi

che, in un primo tentativo di ricostruire ipoteticamente la forma del vaso, constatarono lamancanza di circa un

terzo dell’intera sagoma. Nella primavera del 1845 il giovane recuperò altri cinque frammenti; fu così possibile

integrarli e restituire l’esemplare alla sua originaria maestosità. I restauratori reputarono opportuno colmare

le parti lacunose del cratere con uno strato di gesso su cui resero a tempera le campiture pittoriche mancanti;

unmetodo ben poco ortodossoma che all’epoca fu considerato all’avanguardia e che permise di poter apprez-

zare la fisionomia dell’esemplare e le scene raffigurate. Nel luglio del 1845 il cratere fu portato a Firenze e nell’a-

gosto dello stesso anno, fu acquisito dall’Erario toscano dal Granduca Leopoldo II (1824 – 1859) ed un mese

più tardi fu esposto presso il

“Gabinetto dei Vasi Etruschi”

agli Uffizi. L’acquisto del vaso comportò un grande

sacrificio per le casse grandu-

cali: furono infatti versati 500

zecchini per la permanenza

e l’esposizione del cratere

all’interno della Galleria, cifra

che al tempo avrebbe potuto

permettere una permanenza

di circa sei mesi in Toscana,

pari ad un anno di vitto e al-

loggio nella città di Firenze.

Negli anni seguenti, mentre

un contadino stava arando

i campi attorno all’area inte-

ressata dagli scavi, fu casual-

mente recuperato un ultimo

frammento che fu donato alla

nobile famiglia degli Strozzi;

nel 1866, il marchese Carlo

donò il frammento agli Uffizi

e fu deciso di esporlo in ve-

trina accanto al cratere. Sfor-

tunatamente, il

Vaso François

subì un danno ingente quan-

do, il 9 settembre del 1900,

uno scellerato custode del Museo Archeologico Nazionale di Firenze, preda di un atto d’ira, scagliò un pesante

sgabello in legno nella viva speranza (suo malgrado) di colpire un collega con cui era in accesa discussione. Per

sfortuna e per fortuna, “mancò l’obiettivo”, centrando però in pieno il cratere che si ridusse in 368 frammenti

(foto 3)

;

il Vaso fu immediatamente restaurato e restituito al suo splendore originario grazie all’intervento

esperto e preciso di Piero Zei; il restauratore colse questa occasione per inglobare il frammento donato dagli

Strozzi e fino ad allora esposto in vetrina. La rocambolesca storia del Vaso François però non si esaurisce con

questo tanto assurdo quanto incredibile e folle episodio; infatti, poco più di sessanta anni dopo, il 4 novembre

foto 4 /Vaso François, lato B. 570 a.C. Museo Archeologico Nazionale di Firenze. (Foto su concessione della Soprintendenza

per i Beni Archeologici della Toscana–Firenze)