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Una folla di persone mi circonda, in effetti; la corte

brilla dello splendore delle fiaccole…ma mi passa-

rono senza rispetto una corda al collo, e mio mal-

grado (perché confesso che facevo il pesante) mi

spinsero diritto contro un muro e sopra un grande

piedistallo, senza fare attenzione al fatto che ne

avevo portato uno con me, che non mi aveva lasciato

dalla mia partenza da Tebe.

In una posizione così imbarazzante, esposto conti-

nuamente agli sguardi di un pubblico al quale le mie

insegne regali non sempre imponevano rispetto,

aspettavo da molti mesi che la Vostra Maestà met-

tesse un termine alle mie sofferenze. Avevo, un più,

il dispiacere di vedere, grazie alla mia alta statura,

attraverso le finestre vicine, i miei antichi compagni

di viaggio in una situazione molto preferibile alla

mia.

Vedevo per esempio Moeris, chinato su una specie

di teatro, proprio come i nostri ierogrammati

quanto raccontano le metamorfosi di Osiri al popolo

radunato nei templi; più in là, Sesostri, completa-

mente ristabilito delle sue ferite e pavoneggiandosi

in mezzo a una vasta sala sopra uno zoccolo anche

troppo alto per la sua taglia.

Vedevo dei poveri diavoli già chiusi sotto centinaia

di metri di bende e già sistemati molto caldamente

in due o tre casse, ricoperti, alla faccia mia, da un

eccesso di cure, da una bella veste nuova di tela

gialla bordata di galloni verdi.

Vedevo infine, dal mio scomodo osservatorio, una

tale piccola borghese di Tebe, che non avrei mai

onorato di un semplice sguardo, accolta con galan-

teria raffinata e graziosamente chiusa, non so per-

ché, in una piccola casa di vetro.

Ma non è abbastanza. In mezzo a queste mortifica-

zioni così cocenti per il mio amor proprio, si è ve-

nuti, Sire, a mettere il colmo a tanti oltraggi.

Invece di condurmi in un palazzo suntuoso, ora che

la temperatura di queste contrade diventa di

un’asprezza per me finora sconosciuta, vengo la-

sciato in un cortile, esposto a tutti i rigori, nella so-

litudine più completa.

Ed è questo soprattutto che mi decide a ricorrere fi-

nalmente alla giustizia e alla pietà di Vostra Maestà.

Invece di proteggermi dalle ingiurie dell’aria dan-

domi un bel vestito giallo bordato di verde come a

qualche mio collega e perfino a qualche gatto e altri

animali che non si aspettano davvero attenzioni così

delicate, mi coprono grossolanamente sotto mucchi

di paglia.

Mi spiccio a profittare del momento in cui questa ri-

dicola copertura mi copra ancora solo fino al mento

per aprire finalmente la bocca e lamentarmi alta-

mente di una tale indegnità.

Come! Il Faraone che ha conquistato la Battriana

alla testa di 700.000 uomini, che elevò l’edificio più

meraviglioso di Tebe, non sarà più ormai che un Re

di paglia, o per esser precisi, un re impagliato?

No, Sire, la Vostra Maestà non lo sopporterà.

Ella conosce adesso la lunga serie dei miei triboli:

mi appello alla sua equità. Devo essere trattato da

Re.

Questa parola dice tutto quello che mi aspetto.

Domando anche, come riparazione indispensabile,

che l’inventore del ridicolo costume che mi è affib-

biato, sia lui stesso impagliato, per essere immedia-

tamente deportato al Museo di Storia Naturale.

Questa sarà giustizia.

e g i t t o i n p i l l o l e