

cora una lunga stazione, abbandonato senza onore accanto a una delle porte, ma mi feci forte contro la di-
sgrazia; ero già indurito dalle sofferenze passate, e seppi, aspettando che Vostra Maestà mi chiamasse nella
sua città regale, sopportare con freddezza le mancanze di rispetto di un popolo grossolano, al quale la mia
faccia e il mio abbigliamento non si imponevano per niente.
Feci di più: conservai la mia impassibilità, nessun movimento di sdegno solcò il mio viso neppure quando
un certo sapiente del paese venne da me, pretendendo di conoscermi, e senza saper vedere sulla mia fronte
il diadema regale e le insegne del figlio primogenito di Amon osò sostenere che io non ero che una specie
di intendente o sotto-intendente, e sostenere che io mi chiamavo Ozial, nome sconosciuto all’interno Egitto,
io che sono il Re del popolo obbediente, il sole guardiano dei mondi, il figlio del sole, Osymandias.
In mezzo a tali tormenti mi strascinarono finalmente, disteso sopra un carro volgare, sul quale mi lasciai met-
tere senza la minima resistenza, pensando che alla fin fine era l’ultima delle prove che mi erano state riser-
vate.
Arrivai a Torino con questo triste equipaggio, e, invece di condurmi direttamente nel palazzo di Vostra
Maestà, mi scaricarono nella corte dell’Accademia delle Scienze, dove seppi però, arrivando, che avevano
parlato di me e che anche il mio venerabile nome era stato pronunciato. Supposi dunque anche che era stato
fino allora nell’intenzione della Vostra Maestà che avessi viaggiato in incognito; mi aspettavo da un momento
all’altro che mi rendessero finalmente gli onori che mi sono dovuti.
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e g i t t o i n p i l l o l e