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Torino era una mia ambizio-
ne, per farmi conoscere e
per far sapere che in Olan-
da stavo facendo un lavoro
molto simile, perché mi ave-
vano affidato il riallestimen-
to della collezione egizia. Se
non mi avessero invitato ad
un colloquio ci sarei rimasto
male, perché avrebbe volu-
to dire che l’Italia è un paese
un po’ strano.
Quella settimana ho lavora-
to tutta la notte per prepa-
rarmi a quell’incontro, per-
ché durante il giorno lavo-
ravo nel museo. Nel prepa-
rarmi mi sono sempre detto
che nel momento in cui mi
siederò su quella sedia crederò di essere io il fu-
turo direttore del Museo Egizio e di convincere i
miei interlocutori della stessa cosa. Però mi sono
anche detto che nel momento in cui mi alzerò e
chiuderò la porta alle mie spalle mi dimenticherò
di tutto questo. E così è stato.
Sono partito per la Filandia e poi la Spagna, per
seguire i vari progetti espositivi che avevo con il
museo di Leida, finché mi è arrivata una telefona-
ta dove mi comunicavano che ero tra i tre rimasti
ancora in corsa per la carica di direttore e io con-
tinuavo a dirmi: beh, sarò il terzo o al massimo
il secondo! Il 21 marzo mi avvisarono che si sa-
rebbe riunito il consiglio e che verso mezzogior-
no mi avrebbero comunicato il nome del nuovo
direttore. Io avevo detto ai miei genitori che ci sa-
remmo sentiti verso mezzogiorno e mezzo per
comunicare loro l’esito, ma quella mattina – forse
a causa della tensione accumulata – mi ero alzato
con un’emicrania tremenda e quella telefonata di
mezzogiorno era proprio l’ultimo dei miei pensie-
ri. Poi quando ho chiamato i miei, erano talmente
settati sul “non illudiamoci”, chemi madre di disse
subito: non sei tu il nuovo direttore vero? Per cui
sono ancora stupito che sia successo per davve-
ro e che in questo Paese succedano queste cose
senza conoscere nessuno, per propri meriti.
Come si è trovato arrivando in una struttura dopo
due mandati della persona che l’ha preceduta? Come
ha trovato il museo?
Allora, io ho trovato degli ottimi collaboratori che
sono stati rimpolpati, perché c’era un apparato
scientifico assolutamente ridotto all’osso, con un
solo egittologico, e adesso sono sette. Sono riu-
scito a trovare tra le pieghe del bilancio le risorse
necessarie per assumere egittologi, tutti giovani
e bravi, tra cui un belga, il dottor Connor, che ha
lavorato un po’ in tutto il mondo. Ha lavorato an-
che allo scavo di Irene (Irene Morfini è codiret-
trice, assieme a Mila Alverez Sosa della Missione
Archeologica Canario-Toscana che opera nell’am-
bito del Min-Project a Luxor, ndr) che si è arrab-
biata perché le ho portato un bravo archeologo.
Il dottor Connor ha lavorato a Bruxelles, al Me-
tropolitan Museum of Art ed è uno dei curatori
della mostra su Sesostri III a Lille. E’ bello che in
Italia si possa fare un po’ di attrazione per figure
professionali internazionali.
Ho trovato quindi una struttura che aveva già
delle ottime competenze che ho comunque rite-
nuto di rinsaldare perché stiamo portando a ter-
mine un lavoro importante ed è assolutamente
necessario avere delle forze che ci permettano di
fare questo riallestimento storico dopo 150 anni.
Lei è arrivato con tutta l’impostazione dei lavori di
ristrutturazione già intrapresi da tempo…
Sono arrivato e ho trovato un contenitore pronto
con un contenuto completamente assente.
Chi mi ha preceduto non mi ha lasciato nulla. Io
sono arrivato in una stanza asettica dove non ho
trovato un solo file.
E forse è stato meglio così perché questo mi ha
dato la possibilità di scrivere il progetto scientifico
e allestitivo da zero. Ho passato i primi tre mesi
a far colloqui per assumere egittologi con cui la-
vorare giorno e notte proprio a questi progetti.
La cosa difficile è che se uno trova tabula rasa e
Dal corredo funerario di Kha e Merit / ph Paolo Bondielli