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Perché un libro sulla musica nel-

l’antico Egitto?

Tra i musicologi vi è una tendenza generale a

far cominciare la storia della musica dal-

l’epoca ellenistica ed ovviamente con brevi

accenni, per poi saltare direttamente alla na-

scita del sistema temperato. Ciò avviene per-

ché esiste ancora una certa diffidenza verso

quei popoli che giudichiamo “primitivi”.

L’idea che la storia proceda in maniera li-

neare come il tempo cronologico ha pervaso

le menti di molti studiosi, ma è possibile di-

mostrare che tempo e storia seguono un per-

corso circolare e quindi sarebbe più giusto

parlare di storia-tempo, ovvero un processo

inscindibile che si muove seguendo la geo-

metria di una spirale conica. Questo vuol dire

che gli avvenimenti storici non sono esclu-

sivi, ma si ripetono sempre nello stesso cir-

colo di eventi solo con uno spostamento

temporale. Questa lunga premessa è la base

per affermare che la musica nell’antico Egitto

aveva la stessa valenza e le stesse funzioni

che ha per noi del XXI secolo. Dunque è im-

portante che si cominci a parlare dei nostri

antenati musicisti dando loro la giusta collo-

cazione e il giusto riconoscimento nella sto-

ria della musica.

Nella scrittura del volume qual è

stato il momento più difficile del percorso

creativo e quale quello più esaltante?

Il momento più difficile è stato il reperimento

delle fonti. Libri sull’Antico Egitto ne esistono

molti, ma solo pochissimi sono i testi che

hanno affrontato apertamente il problema

musicologico, tra questi troviamo i lavori di

Curt Sachs, Hans Hickmann e Lisa Manniche.

Uno degli aspetti più ansiogeni è stato il do-

vere affrontare la materia da diversi punti di

vista, quello testuale (le traduzioni dal gero-

glifico), l’interpretazione dei rilievi e dei di-

pinti, le tecniche di costruzione e l’uso dei

materiali. Il problema della prospettiva nella

raffigurazione egizia è il primo punto da ana-

lizzare poiché diventa difficile riuscire a com-

prendere la postura esatta dei musicisti

intenti nella’arte di suonare. Hickmann aveva

già compreso la questione fino ad esprimere

la possibilità che la posizione delle mani

avesse un significato reale, gestuale, non ca-

suale. Comparando i testi al di sopra delle raf-

figurazioni con l’analisi delle posizioni delle

mani è possibile compilare una tabella di

“modi” con un significato ben definito. Pro-

babilmente è proprio quest’analisi la parte

più esaltante della stesura del libro poiché si

riesce ad entrare dentro la mente degli anti-

chi musici e alla fine puoi quasi immaginare

di essere li con loro ad esibirti.

Nella gerarchia sociale ma soprat-

tutto nell' immaginario collettivo come si

evolve la figura del musicista?

I musicisti avevano un ruolo molto simile, per

non dire progenitore, al modo in cui li consi-

deriamo oggi. Nell’Antico Egitto erano rite-

nuti “stolti” coloro che si esibivano nelle

taverne, noi oggi li chiameremmo Piano Bar

o in altri casi “artisti di strada”. C’erano mol-

tissime categorie musicali così come anche

repertori e generi, si va dalla musica liturgica

a quella profana e d’amore, dai canti del la-

voro a quelli per le celebrazioni folkloristiche.

È interessante notare che la musica poteva

essere eseguita in formazioni da Camera, di-

remmo oggi, come il duo (arpa e voce), il trio

(arpa, liuto e percussioni), quartetto e orche-

stre intere. Questo è un punto importantis-

simo perché dimostra l’esistenza di una

prassi armonico-melodica e una evoluzione

nel concepire la musica come un lavoro. Non

era un caso che alcuni dei migliori musicisti

seguivano i sovrani durante i loro viaggi e

che gli stessi fossero dei dipendenti di questa

o quella corte. Una curiosità invece deriva

dalla musica profana. Il Duo Hekenu (arpa) ed

Iti (cantante chironomia) erano considerati

molto famosi e alcune loro canzoni sono pa-

ragonabili, leggendo i testi, alle canzoni di un

Gigi D’Alessio, questo per far comprendere

come l’uso della musica non fosse differente

dal nostro.

Quanto c’è di Antico Egitto nella mu-

sica di oggi?

Tutto. La musica occidentale è figlia della

musica faraonica, ma non bisogna dimenti-

care che questa è di derivazione sumera. In-

fatti le analogie con l’epoca mesopotamica

sono tantissime così come le influenze co-

struttive sugli strumenti e le caratteristiche

l o s c a f f a l e

“ ”

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