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Proprio per questi motivi, perché le parole di chi lo ricorda toccano il cuore

nel profondo, lascio volentieri la parola ad

Alessandro Rolle

con le sue

memorie sul Professor Sergio Donadoni.

“Da poco meno di un mese, il 31 ottobre, dopo Mario Tosi e Silvio Curto

un altro grandissimo egittologo italiano si sta librando come un Ba. E’

infatti venuto amancare il Professor Fabrizio Sergio Donadoni, al termine

di una lunghissima vita: nacque infatti a Palermo il 13 ottobre dell’anno

dello scoppio della Grande Guerra. La mamma era un’insegnante di in-

glese ed il papà fu Eugenio, un grande storico della letteratura italiana. Il

padre morì quando Sergio aveva appena dieci anni, ma fece in tempo ad

insegnare al figlio l’amore

per la cultura classica facen-

dogli leggere già a sette anni

l’Iliade. Grazie a Ranuccio

Bianchi Bandinelli ed a Mat-

teoMarangoni si appassionò

rispettivamente all’archeolo-

gia ed alla storia dell’arte. In

una delle sue ultime intervi–

ste, al compimento del cen-

tesimo anno di età, appren-

diamo di come venne in

contatto per la prima volta

con l’Egitto: “……quando con

la mamma decidemmo di

visitare a Londra il British

Museum. Fu allora che per la

prima volta mi imbattei nel

favolosomondo egizio. Fu al-

lora che quelle collezioni

magnifiche sarebbero state parte della mia vita…”. In queste sue parole

c’è un particolare chemi ha colpito: non disse “conmiamamma”, ma “con

la mamma”. Ecco, trovo molto dolce ed affettuoso questo suo modo di

esprimersi. Questo suo amore per l’Egitto gli fece dire, sempre nella

stessa intervista, con una punta di amarezza: “L’ultima volta ci sono stato

quattro o cinque anni fa. Ho visto solo desolazione. Lo dico con il cuore

spezzato”. Dopo la maturità, conseguita a 16 anni, vinse il concorso per

entrare alla Normale di Pisa. Qui si laureò nel 1934 con un grande egit-

tologo, Annibale Evaristo Breccia, che fu direttore dal 1904 del Museo

Greco Romano di Alessandria d’Egitto. Dopo la laurea trascorse, grazie

ad una borsa di studio, due anni a Parigi dove conobbe numerosi egit-

tologi, tra cui la straordinaria Christiane Desroches, ed altri accademici.

La prima missione sul campo in Egitto fu immediatamente dopo gli studi

parigini: tornato a Pisa si trovò a dover sostituire il suo professore, il Brec-

cia, ammalatosi di polmonite. Fu così che, dopo tre giorni di navigazione,

toccò per la prima volta il suolo di Kemet e da lì, in treno, giunse al Cairo.

Qualche anno dopo, nel 1948, si recò nella capitale danese per prose-

guire gli studi egittologici. Nel corso della sua lunga e brillante carriera

ottenne prestigiosi incarichi e premi e scrisse numerosi testi dedicati alla

civiltà Egizia. Il suo più grande insegnamento è forse che “l’Egitto non

sviluppò una cultura della morte come si è creduto sulla base dei reper-

ti e delle migliaia di tombe, ma fu una civiltà della vita con una cultura

altissima”. E questo suo insegnamento traspare in tutte le sue pubblica-

zioni. Nel 1960, quando la Desroches portò all’attenzione del mondo che

Sergio Donadoni