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“vendicatore”

94

. Quando fu innalzato lo Zeus era la

statua più alta del mondo greco: fonti indipendenti

concordano nel tramandare la misura di quaranta

cubiti

95

. L’analisi della scultura è tale da far intende-

re che la gamba destra era avanzata e flessa e la

sinistra tesa e arretrata; quanto al mantello, questo

lasciava scoperta la spalla destra; inoltre, la fluente

pettinatura doveva apparire come lo sviluppo di un

motivo già osservato nell’Alessandro e nel Kairòs

96

.

Una delle ragioni che avevano trattenuto Fabio dal

rimuovere lo Zeus era stata l’osservanza del divie-

to che accompagnava da secoli il costume romano:

uomini e dèi in armi non potevano varcare il pome-

rio. Il console invece non ebbe riguardo a traspor-

tare a Roma l’altro colosso eseguito da Lisippo per i

Tarantini dopo il 314, l’Eracle meditante

97

(24). Ultima

opera dell’artista sicionio, l’Eracle avrebbe raggiunto

una fama ancor più vasta e durevole: prova indiret-

ta della fortuna del colosso in età ellenistica, può

essere considerata, infatti, una pittura pompeiana

in

III stile della Casa di Epidio Sabino in cui si vede

Eracle seduto in atto di ascoltare Orfeo

98

. Da Roma,

dove era stato dedicato sul Campidoglio dallo stes-

so quinto Fabio Massimo

99,

il bronzo fu trasferito nel

325 d.C. a Costantinopoli, dove venne descritto ac-

curatamente dagli autori bizantini, per poi andare

distrutto soltanto nel 1204 dai Crociati che lasciaro-

no la base al suo posto

100

.

94 Una folla di cippi indicava a Taranto le case di coloro che erano stati colpiti dalla folgore per un sacrilegio:

questo Zeus vendicatore era detto Kataibàtes, in quanto discendeva con la saetta nella profondità della terra

e si collegava agli dei inferi. Per il colosso di Taranto, sono le città della lega italiota ad aver salvato persuasive

attestazionideldio:aMetaponto,nell’areadelteatro,tra letavolettevotive interracottadiunbancodivendita,

si è rinvenuta la parte superiore di uno Zeus che brandisce con la destra la folgore, mentre con la sinistra

impugna loscettro;alladestradeldiosiscorge l’aquilaposatasudiunsostegno,oraperduto.(23)AdEraclea

il tipo è noto da una matrice, custodita al museo di Policoro. Anche questa è spezzata, ma conserva una parte

del supporto dell’aquila, che appare scanalato a guisa di colonna provvista di abaco, sormontato a sua volta

da due volute simili a pulvini.

95 Secondo il piede romano, un cubito (pari a un piede e mezzo) è m 0,444, per cui l’altezza dello Zeus

sarebbe stata m17,76.

96 Nel caso specifico, con la parziale discesa sulla fronte, ben si collegava alla componente ctonia del culto.

La divinità del Kairòs, era la personificazione del momento propizio ed irripetibile, l’

“Occasione”

; il

Kairòs

era

riprodottoancheadOlimpia,dove ilcultodelladivinitàavevasedeall’ingressodelloStadio.Per larestituzione

dell’archètipo è utile il rilievo al Museo dell’Acropoli di Atene. MORENO, 1987, pp. 125-131.

97 Per approfondire la conoscenza dell

’Eraclemeditante

,

si consiglia: MORENO, 1987, pp. 237-257.

98 Strab., VI, 278; Petronio (Sat., 88,5) riferisce che Lisippo sarebbe morto trascurando di cibarsi, proprio

mentre era impegnato nella finitura dell

Eracle meditante

,

sua ultima opera.

99 Attraverso tale sistemazione si rinnovava l’originaria collocazione sull’Acropoli di Taranto, dove Annibale

non era potuto entrare quando occupava la

pÒlij

e dove il nume aveva continuato a ricevere onori dal

presidio romano e dagli aristocratici tarantini favorevoli ai Quiriti.

100 Dalle indicazioni degli scrittori medievali, si calcolache fosse nellaproporzione di cinque volte il naturale:

trattandosi di una figura seduta, toccava i cinque metri. La gamba e il braccio sinistro erano distesi, l’altra

gambapiegata, ilgomitopoggiatoalginocchioe ilmentonellamano; ilsedileerarappresentatodaunacesta,

copertadalla leontea.Altempo incui l’Eraclesitrovavanellasuacollocazioneoriginaria,risaleanche latesta in

marmo pario al Museo di Taranto, che conserva l’attacco della mano sotto la barba e il tormentato corrugarsi

del volto, non lontano dal realismo del

Pugile delle Terme

.

Da Alessandria provengono due ornamenti di aghi

crinali in bronzo, che riducono a proporzioni minime il soggetto. Altri monumenti si riferiscono al tempo in

cui l’Eracle era a Roma: risalgono alla prima età imperiale i bronzetti della Bibliothèque Nationale di Malibù

(inv. 559) e della Collezione Santangelo, proveniente dall’agro di Pompei. Al periodo severiano si ascrive

la statuetta in marmo da Ratiaria al Museo di Vidin (Bulgaria), che compendia un corpo muscoloso, tale

da richiamare la complessione dell’Eracle in riposo Farnese-Pitti. Anteriore al trasporto dell’originale a

Costantinopoli è la derivazione come

Giona

sotto la pergola che appare a Roma nella catacomba della Via

Latina. La testimonianza è utile per suggerire attraverso la pittura paleocristiana, un altro possibile tramite

della fortuna di questa iconografia lisippea nell’Occidente medievale e moderno, per il resto determinata

dalle numerose rielaborazioni bizantine come Adamo, Elia, San Giuseppe e San Giovanni Evangelista.