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oppure
. Questo nome infatti sembra essere composto
da due sostantivi:
collina e
Libia
3
.
Le capanne erano costruite con le pietre estratte dalla montagna e co‑
perte in seguito da rami. L’installazione era sì sommaria, ma al tempo
stesso doveva garantire la protezione degli occupanti dal freddo not‑
turno, dal calore del sole, dal vento dell’altitudine e dai numerosi altri
pericoli presenti sullemontagne del deserto. Ovviamente queste abitazi-
oni non erano dotate di tutti i comfort come quelle del villaggio: una ca-
panna, chiusa da una sola porta, generalmente era formata da due pic-
cole stanze prive di finestre comunicanti tra loro. Il primo vano contene-
va un tavolo dalle forme più varie, costruito con accuratezza e dotato di
uno sgabello in calcare, spesso con iscritto il nome del proprietario. Pro-
prio da questi sgabelli si ha un’ulteriore conferma dell’utilizzo di questa
stazione da parte di operai di epoca ramesside: la terminologia presente
in questi manufatti è del tutto simile a quella che si trova nei reperti pro-
venienti da Pa demi. In entrambi i casi infatti la squadra è designata ricor-
rendo ad un lessico nautico. Dallo studio di questi brevi testi si è riusciti
a capire se il proprietario appartenesse alla parte destra od alla parte
sinistra. Su questi sedili, tranne in pochi casi, non si leggemai la carica del
proprietario, eccettuata quella di scriba e di scultore: la maggior parte
degli operai è infatti menzionata con la semplice qualifica di
sDmaS
. Parti-
colare inoltre interessante è che il nome del proprietario è quasi sempre
seguito da
mAa-Xrw
, sia che fosse ancora in vita oppure che fosse già
morto. La seconda sala era dotata di un divano letto in mattoni, largo
circa 80 centimetri ed alto una sessantina: era posto nella parete di fon-
do, con testa e piedi contro la parete laterale. Le stanze erano molto
piccole e non molto alte: un uomo con un passo lungo poteva spostarsi
direttamente dal divano alla porta. Lo spessore delle mura di queste
capanne variava dai 35 ai 50 centimetri, con un’altezza che poteva supe‑
rare i due metri. Abbiamo visto come la disposizione delle case non se-
guisse una sorta di “piano regolatore”; l’orientamento era influenzato dal-
le condizioni climatiche: le porte infatti si aprivano sul lato più riparato
possibile dal caldo o dal freddo. Nella maggior parte dei casi queste
porte restavano spalancate, ma alcune erano dotate di montature in
calcare con, sugli stipiti, frammenti di iscrizioni: in taluni casi si è ritrovato
il chiavistello in legno che le chiudeva. Tracce di fuochi, depositi di cenere,
fuliggine alle pareti, cocci e materiale ceramico attestano l’esistenza di
focolai sia per difendersi dal freddo della notte che per cucinare alimenti.
Considerato però che gli uomini utilizzavano queste capanne solo per
3 Secondo le lettura dello Spiegelberg
foto 4 / Sgabello di Kenna ed Horynefer / Da “Le village, les décharges, le station de repos du col de la Vallée des
Rois”. B. Bruyère in FIFAO 16, 1939.
pernottare, e che i familiari non
facevano loro compagnia, è quasi
certo che tanto i pasti quanto
l’acqua provenissero quotidiana-
mente dal vicino villaggio di Pa
demi grazie a lavori di corvée.
Nonostante la stazione fosse utiliz-
zata solo per dormire la devozione
popolare giunse anche sin qui: in-
fatti sulla parete nord della falesia
sono stati trovati alcuni graffiti a
carattere religioso. E’ proprio qui
che fu costruito un piccolo san‑
tuario dagli operai che vi si recava-
no per adempiere ai loro doveri re-
ligiosi. La cappella era ricoperta di
graffiti in parte ancora visibili: gli
operai scrivevano qui dediche in
onore di Amon “del buon incontro”,
come si legge chiaramente nelle
brevi iscrizioni incise dallo scriba
Kenherkhepeshef o dai suoi fami‑
liari. Quelle mostrate non sono le
uniche due dediche lasciate da
Kenherkhepeshef. Particolare in-
teressante da notare è che nella
prima foto manca il
mAa-xrw
, quin-
di si potrebbe pensare che nella
seconda lo scriba abbia già supera-
to il tribunale osiriaco, ma questo
non sembra valere per Karbut
come già visto per i testi presenti
sui sedili. Questa cappella fu
costruita sulla falsariga del grande
tempio di Amon a Karnak: è presu-
mibile che la divinità venerata
all’intermedio fosse semplice-
mente una variante del grande dio
venerato nella capitale Come gli
epiteti divini sono all’origine della
localizzazione topografica di un av-
venimento mitologico, il “buon in-
foto 5 / La cappella di Amon del buon incontro / Da
“Le village, les décharges, le station de repos du col de
la Vallée des Rois”. B. Bruyère in FIFAO 16, 1939.