

sull'architrave dei pilastri. Non è chiara la fun-
zione di una tale delimitazione all'interno dell'edi-
ficio ecclesiastico: Coquin ipotizza l'esistenza di
un battistero
8
ma l'ipotesi non ha al momento ri-
cevuto conferma.
Anche la posizione dell'ingresso è al mo-
mento individuabile solo in via ipotetica: du-
rante il periodo faraonico l'accesso all' Akh-Menu
avveniva attraverso il lato sud-ovest. Tale accesso
non venne ovviamente mantenuto nell'epoca
copta in quanto l'altare ed il santuario della
chiesa si trovavano proprio su quel lato. Tracce
di un'apertura appaiono all'estremità nord
della parete nord-ovest: anche se la presenza
di un accesso in questa posizione sarebbe
stato conforme alla tradizione, non è possibile
al momento avanzare che ipotesi in quanto
non vi è alcuna evidenza archeologica che te-
stimoni lo stato di conservazione delle pareti
esterne della Sala all'epoca copta.
Ma le testimonianze del processo di cristia-
nizzazione che ha interessato la sala ipostila
di Thutmosi III non si limitano alle modifica-
zioni architettoniche: i copti avevano infatti
cancellato i bassorilievi egizi preesistenti rico-
prendo le colonne con affreschi rappresentanti
i diversi santi il cui nome e qualità erano indi-
cati da un'iscrizione posta ai lati della testa del
personaggio raffigurato. Gli affreschi, oggi
quasi completamente cancellati, erano invece
molto più visibili nel 1925, come testimoniano
le fotografie tuttora conservate al centro
franco-egiziano di Karnak e lo stesso articolo
di Munier
9
il quale, oltre a documentare la pre-
senza di un gran numero di iscrizioni copte,
sottolinea la presenza tra i personaggi raffigu-
rati di Severo d'Antiochia, morto nel 538, for-
nendo, in questo modo, un
terminus ante
quem non
per l'esecuzione degli affreschi.
Il processo degenerativo delle pitture venne
poi accellerato nel 1925 quando Pillet pensò di
ravvivarle per mezzo di uno strato di vernice
vaporizzata.
La presenza di un numero così elevato di
santi raffigurati sulle colonne ha spinto Mu-
nier
10
, e dopo di lui Pillet
11
, a ritenere che la
chiesa fosse stata posta dalla comunità cri-
stiana sotto la protezione di tutti i santi: che si
trattasse cioè di una
Pantanassa
, tipologia co-
mune nel Cristianesimo orientale. Una simile
deduzione, tuttavia, dovrebbe essere applicata
in linea generale a tutte le chiese orientali ma
la molteplicità delle icone e dei santi che ador-
nano le iconostasi non necessariamente pre-
suppongono sempre una dedicazione
collettiva della chiesa.
Purtroppo anche le iscrizioni che affianca-
vano le pitture sono oggi praticamente scom-
parse tuttavia, nel XIX secolo, venne segnalata
la presenza di un'iscrizione ben visibile sul lato
ovest della colonna 18. L'iscrizione, realizzata
in vernice rossa, era dipinta all'interno del re-
cinto sacro i cui limiti, come precedentemente
evidenziato, appaiono chiaramente delimitati,
ed era composta da due parti: un elenco dei
superiori del monastero che inizia a circa 0,50
metri dalla base del capitello ed un compendio,
probabilmente opera della stessa mano ma
purtroppo oggi molto frammentario, situato
più in basso a destra.
Pur ignorando il copto, Jowett, l'archeologo
che per primo segnalò l'iscrizione, la tra-
scrisse e, successivamente, ad un'analisi più
approfondita, risultò trattarsi di un elenco di
abati che erano stati probabilmente a capo del
monastero. Ogni nome era preceduto dal mo-
nogramma cristologico e la posizione stessa
dell'elenco era presumibilmente funzionale
alla liturgia: doveva infatti fungere da memo-
randum al diacono incaricato della proclama-
zione al momento dell'intercessione durante la
liturgia ecclesiastica.
Tracce di un'altra iscrizione, incisa in modo
piuttosto grezzo, sono osservabili sul lato
nord-est della colonna 11, a circa 0,40 metri
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C U L T U R A
Fig. 11
- Karnak. Pianta della Sala delle Feste di Thutmosi III
(BIFAO 72).
8 Coquin, art. cit. p. 172.
9 Munier, art. cit. p. 65-74
10 Munier, art. cit. p. 74
11 Pillet,
Thèbes, Karnak et Luxour
, Paris, 1928, p. 146.