Jaḫdun-Lim, re di Mari

Il regno di Jaḫdun-Lim ci è noto grazie a un’iscrizione ufficiale conservata su un grande disco di terra cotta e alle tavolette degli archivi di Mari. Il suo regno, di una ventina di anni, ebbe una fine tragica: egli morì, infatti, assassinato dai suoi servitori, per ragioni che non ci sono note. È tuttavia probabile che l’assassino fosse stato commesso su istigazione del re assiro Šamši-Addu I. Infatti, alla morte di Jaḫdun-Lim il regno di Mari passò sotto il controllo del monarca assiro, che vi installò il figlio Iasmaḫ-Addu come governatore. Questo “interregno assiro” durò una ventina di anni. Alla morte di Šamši-Addu I, infatti, Zimri-Lim, figlio di Jaḫdun-Lim, riuscì a riconquistare il “trono dei suoi padri” e a mantenersi al potere per più di trent’anni. È sotto il suo regno che Mari conobbe una grande prosperità, alla quale mise brutalmente fine la conquista di Hammurapi di Babilonia.

Anfore a pantelleria

Pantelleria: storia archeologia e archeologia subacquea

Gli insegnamenti di Silvano

Il testo qui presentato dovrebbe risalire a un periodo non molto successivo a Clemente di Alessandria (circa 150-215) ed Origene (185-254), poiché esso mostra numerose affinità con la loro teologia. L’autore è presentato col nome pseudoepigrafico di Silvano, il compagno di Paolo, e probabilmente era un copto.

Il Cavaliere Marafioti

Il Gruppo equestre di Locri Epizefiri, come venne chiamato da Paolo Orsi al momento della sua scoperta, deriva dal riassemblaggio dei frammenti in terracotta rinvenuti durante le campagna di scavo del 1910 sul fianco occidentale del tempio dorico in località ‘Casa Marafioti’ (dal nome della famiglia proprietaria del luogo ove fu rinvenuto il tempio). Il cosiddetto Cavaliere Marafioti è frutto dell’attento lavoro di assemblaggio di circa186 frammenti ad opera del restauratore Giuseppe Damico grazie alla ricostruzione grafica di Rosario Carta, su indicazione di Orsi... Durante l’intervento di ricomposizione furono assemblati i numerosi frammenti per mezzo di staffe, grappe metalliche, supporti interni di diversa natura, quali legno e stucco, al fine di recuperare nella sua interezza l’articolata opera plastica che raffigura un giovanetto a cavallo sorretto da una sfinge; per raggiungere tale scopo furono necessarie importanti reintegrazioni, indispensabili per risarcire le numerose lacune, ma anche per assicurare la tenuta statica dell’intero manufatto. Il restauro, condotto magistralmente da Giuseppe Mantella e Sante Guido, ha permesso di restituire al pubblico dei visitatori del Museo Archeologico di Reggio Calabria, luogo deputato all'esposizione del reperto, l'opera così come doveva essere all'epoca della realizzazione. Grazie alla sponsorizzazione tecnica nell'ambito del Progetto di Intesa Sanpaolo "Restituzioni", la digi.Art ha avuto il privilegio di seguire e digitalizzare tutte le fasi dell'ultimo restauro del Cavaliere di casa Marafioti, un gruppo scultoreo in terracotta costituito da una sfinge alata sormontata da un cavallo e da un cavaliere. Questa tripartizione offre già il primo spunto per approfondire le conoscenze sulla composizione dell'opera.

Il Decreto di Canopo

Il decreto è stato emesso a Canopo nel 238 a.C., sotto Tolomeo III Evergete I e la moglie Berenice II. Il preambolo iniziale, più breve che non negli altri decreti, loda la pietà della coppia regale e i benefici da essa accordati ai templi; in particolare, vengono ricordate la campagna asiatica che ha portato al recupero delle statue sacre depredate a suo tempo dai Persiani e le misure prese per alleviare le conseguenze di un periodo di carestia dovuto alla crescita insufficiente della piena del Nilo. La parte principale del decreto riguarda, invece, tre provvedimenti: il primo concerne l’aumento a cinque del numero delle tribù sacerdotali, con l’aggiunta di una nuova tribù dedicata agli “Dei Evergeti”, ossia proprio a Tolomeo III e Berenice II; il secondo è la ben nota riforma del calendario, con l’introduzione dell’anno bisestile, ogni quattro anni; e infine l’istituzione di un culto particolare per la defunta principessa Berenice.

La conversione al cristianesimo della Nubia e l’iscrizione di Silko

Teodosio I era salito al trono patriarcale di Alessandria il 10 febbraio 535, grazie agli aiuti di cui godeva in seno all’apparato imperiale. Eletto da una minoranza, imposto e mantenuto sul trono dal governo, egli era molto impopolare in città. Ma nel 536 il vento cambiò direzione. In quell’anno, infatti, l’imperatore Giustiniano (527565), che operava per giungere all’uniformità religiosa nell’impero (rotta dall’insanabile e perdurante divisione tra quanti a Calcedonia, nel 451, avevano accettato le decisioni conciliari sulle “due nature” e l’unica persona di Cristo e quanti invece le avevano respinte, e con essi la maggioranza assoluta degli egiziani), ritenne che ormai l’appoggio garantito a Teodosio non avesse più ragione d’essere se non nel caso di un’abiura del Credo anticalcedonita da parte del patriarca. Credendo di potergli perciò estorcere facilmente almeno una formale adesione a Calcedonia (secondo la Storia dei Patriarchi, in cambio della sua adesione all’ortodossia imperiale l’imperatore gli avrebbe offerto poteri eccezionali, promettendogli di unire il potere temporale a quello religioso, di essere cioè contemporaneamente sia augustale sia patriarca), Giustiniano lo convocò a Costantinopoli (novembre-dicembre 536).