La vita di Ilaria

In questo nuovo lavoro Alberto Elli ci trasporta in un periodo storico di grande interesse, che vide la fine dell’Impero Romano d’Occidente e la stabilizzazione dell’Impero Romano d’Oriente, che gli sopravvisse per circa un millennio. Uno dei protagonisti fu l’imperatore Zenone che è il protagonista anche di questa storia, insieme a due figlie che nella realtà non ha mai avuto. Il documento che contiene questa storia è scritto in copto shaidico e risale all’848, quindi alcuni secoli dopo lo svolgimento dei fatti, ed è custodito presso la Pierpont Morgan Library di New York. Nel 1947 lo studioso Drescher pubblicò in un supplemento degli Annales du services des Antiquités de l’Egypte, Il Cairo, una raccolta di tre leggende copte dal titolo “Three coptic legends: Hilaria, Archellites, The Seven Sleepers”.

Mediterraneo Antico n°3 – dicembre 2015

Interview with Barry John Kemp - Il villaggio operaio di Deir el-Medina l'organizzazione del lavoro: le serve e i servi - L'ultimo geroglifico - Monumenti funerari reali attribuiti alla III dinastia - Stele cat. n. 1582 di Mentuhotep - Interview with Chris Naunton - La missione archeologica italo-russa ad Abu Erteila (Sudan) - Gli obelischi egizi a Roma - In ricordo di due grandi maestri - Riffat Hassan e la teologia islamica - Living heritage: managing sites with heritage significance - La Pax Augusta sui rilievi dell’Ara Pacis - La citta’ di Pergamo e il suo altare - I parte - Budicca: l’acerrima nemica di Roma - Museo del Vicino Oriente, Egitto e Mediterraneo alla “Sapienza” di Roma - Symbola. Il potere dei simboli - Il medico di oggi è nato in Egitto - Memorie sull’Egitto e specialmente sui costumi delle donne orientali e gli harem - Erotismo e sessualita’ nell’antico Egitto -Taste archaeology

Vita dei Santi Massimo e Domezio

Secondo la tradizione, Massimo e Domezio erano figli dell’imperatore Valentiniano I (364-375); educati cristianamente, nutrivano il desiderio di vivere come eremiti, osteggiati, però, in questo dal padre. A Nicea fecero conoscenza con un prete di nome Giovanni, al quale confidarono il loro desiderio di farsi monaci. Giovanni li indirizzò a un certo Agabos di Tarso, un anacoreta siriaco, il quale li rivestì con l’abito dei monaci siriani. I due fratelli rimasero presso Agabos fino alla sua morte. Prima di morire, tuttavia, Agabos aveva avuto in sogno una visione nella quale il santo monaco egiziano Macario (300-390) chiamava a sé i due giovani.

La costruzione del tempio di Ningirsu

Desideroso di conoscere sempre più a fondo il magico e affascinante mondo delle lingue redatte in grafia cuneiforme, dopo aver studiato l’accadico ho deciso di rivolgermi pure al sumero; e così, procuratomi due o tre grammatiche e qualche eserciziario, mi sono studiato anche questa nuova lingua. È poi venuto come conseguenza naturale il desiderio di confrontarmi con un testo di “dimensioni” maggiori di quelli delle usuali tavolette d’argilla e la scelta è caduta sui Cilindri di Gudea, non fosse altro perché ero riuscito a procurarmi l’intero testo in cuneiforme.

Il graffito ieratico del “Decreto di Horkhebi”

Sono venuto a conoscenza di questo graffito agli inizi degli anni ’80 del secolo scorso, leggendo lo splendido libro di Paul Barguet sul tempio di Amon a Karnak1. Mi sono subito procurato il facsimile del graffito, eseguito dal Mariette (MARIETTE 1875), e la sua prima trascrizione geroglifica a opera dello Spiegelberg (SPIEGELBERG 190). Inoltre, nei miei viaggi in Egitto, allora ben più frequenti di adesso, non mancavo di andare a vederlo (a quei tempi l’accesso alla zona era consentito!). Ne avevo tentato anche una prima traduzione, che ho ultimamente riscoperto nei miei quaderni di appunti e che ha risvegliato il mio mai sopito interesse per i graffiti. E così, facendo altre ricerche in Rete, ho visto che esso era stato fatto oggetto di studio da altri egittologi, dei quali, nei limiti del possibile, mi sono procurato i lavori. Pertanto, presento ora qui il testo e la traduzione del graffito, sperando di fare cosa gradita ai tanti amanti dell’antico Egitto. I due studi principali, ai quali mi sono costantemente riferito, sono quello di Günter Vittmann (VITTMANN 202), che ha presentato una nuova edizione in facsimile, con trascrizione, traduzione e lungi commentario filologico, e di Elizabeth Frood (FROOD 2010).

Il sarcofago di Gemenefharbak

Il sarcofago di Gemenefharbak pervenne al Museo Egizio di Torino con la collezione Drovettinel 1824. Fu sistemato insieme all'intera collezione nella sale dell'Accademia delle Scienze. Gemenefharbak era un funzionario di altissimo grado (ricopriva, fra l'altro, la carica di Visir) vissuto a Sais, città del Delta Occidentale al tempo della XXVI dinastia (672-525 a.C.) e i suoi innumerevoli titoli compaiono nelle iscrizioni del sarcofago.