A cura di Silvia Neri

Giardini, cortili e spazi aperti sono elementi vitali che sbocciano nelle nostre città dando respiro alla struttura a tratti serrata dell’edilizia storica e moderna, divenendo spazi di aggregazione comune. Lo stesso si può dire per i cortili che spesso si aprono nei palazzi storici e nei complessi monastici e conventuali, luoghi privati ma allo stesso tempo spazi in cui condividere momenti di vita comune; questo avviene al MANN (Museo Archeologico Nazionale di Napoli) dove tre grandi spazi aperti impreziosiscono il museo, donando luce alle sale che vi si affacciano.

Giardino delle Camelie del Museo Archeologico di Napoli

Ma per capire bene questi luoghi è necessario parlare della loro evoluzione nel corso dei secoli, soprattutto in termini di utilizzo dello spazio. La principale funzione di questi luoghi, nell’epoca del loro maggior splendore, era l’esposizione di sculture che vedeva i suoi precedenti nella storia andando a ritroso, fino ad arrivare al mondo ellenistico – romano.

A partire dal Cinquecento in poi fu ripresa la consuetudine di esporre opere in marmo nei giardini di ville e complessi cittadini, in particolare a Roma con il Cortile del Belvedere, Palazzo Chigi (La Farnesina) ed i giardini vaticani, a Firenze con il giardino di Boboli e a seguire con il giardino del Museo Archeologico Nazionale di Firenze, di chiara matrice ottocentesca.

Venendo ai tre giardini del Museo Archeologico napoletano possiamo dire che l’impianto giunto fino a noi può essere fatto risalire a un periodo compreso tra Ottocento e Novecento ed è ben visibile nei due giardini posti ai lati dell’atrio, all’interno dei quali svettano longilinee palme washingtonia.

Del terzo giardino situato sul lato posteriore dell’edificio museale purtroppo restano, oltre ad alcune strutture, solo poche testimonianze fotografiche e testi scritti, essendo oggi occupato dal cantiere per la ristrutturazione del Braccio Nuovo del Museo. Proprio questo giardino denominato ‘Giardino della Vanella’ è oggetto di un progetto di valorizzazione e recupero che nasce con l’intento di potenziare l’immagine ma soprattutto l’offerta verde del Museo iniziata con il recupero dei due giardini storici sopra citati.

Il Museo Archeologico di Napoli nel contesto cittadino

Il riutilizzo della Vanella è il secondo step di un progetto molto ampio e articolato, il progetto Limes (inteso nel doppio significato del termine e cioè come “linea di confine”, “limite” e come “via”, “strada”, la via di penetrazione all’interno di territori di recente conquista (o ancora da conquistare)) che prevede il recupero degli spazi aperti del MANN (il giardino della Vanella, il terrapieno, il giardino delle Cavaiole, la copertura del Braccio Nuovo) ed il collegamento con spazi verdi limitrofi e cittadini in generale (giardini di Piazza Cavour, giardino dell’Istituto Colosimo, Galleria Principe di Napoli, il sistema dei chiostri, le residenze borboniche, gli orti botanici, i musei dotati di spazi verdi fino a collegarsi con il Real Bosco di Capodimonte, al Parco Nazionale del Vesuvio e al Parco Archeologico dei Campi Flegrei), in modo da creare una cintura verde attorno al museo che abbia la duplice funzione di filtro e di elemento di unione tra il Museo e la città di Napoli.

Il Museo Archeologico di Napoli in relazione ad altri spazi verdi della città

A questo progetto se ne lega un altro che riguarda una nuova idea di diffusione dell’anima verde del Museo che è rappresentata da tutti quei collegamenti virtuali tra molti luoghi extra urbani e i reperti che sono custoditi all’interno del Museo e dei suoi archivi e depositi. Basti pensare all’enorme patrimonio che unisce Museo Archeologico e Pompei (contenitore e contenuto) fatto di affreschi, mosaici, statue, corredi in molti dei quali compaiono elementi vegetali che rimandano al territorio e forniscono immagini di un paesaggio ormai fortemente mutato e allo stesso tempo creano un collegamento temporale per lo studio della vegetazione. A tutto questo si aggiunge un elemento nuovo: verrà realizzata in collaborazione con l’Università di Portici una guida botanica, che mette in relazione il verde archeologico del Museo con il verde reale e che permetterà di vedere in maniera nuova le opere esposte.

Ma non dobbiamo dimenticarci il punto di inizio di questa nuova coscienza verde del MANN e cioè la mostra ‘Mito e Natura’ svoltasi nel 2016 e che ha focalizzato l’attenzione sul rapporto tra la natura, l’archeologia e l’arte, creando l’opportunità di restaurare i due giardini dell’atrio: il Giardino delle Fontane e il Giardino delle Camelie che sono diventati il cuore pulsante del MANN. Proprio nel Giardino delle Fontane è stato ricreato e mantenuto per tutta la durata della mostra, un pezzetto di giardino di epoca romana, un viridarium, con la vegetazione e la tipologia di arredo (statue e pergola) presenti in quel periodo.

Ma tornando all’argomento in questione, la storia del giardino della Vanella è piuttosto recente, già nel 1823 il direttore del museo Michele Arditi, inizia a pensare alla sistemazione di un terzo spazio esterno, quello posteriore situato tra il Museo e il giardino del convento di Santa Teresa dove negli anni precedenti era stata individuata una necropoli greca. Il primo progetto, non realizzato, fu ideato dallo stesso Arditi e rielaborato dall’architetto Antonio Niccolini e prevedeva la valorizzazione della necropoli, la sistemazione a giardino dell’area, realizzando un boschetto di epoca romantica e l’esposizione di numerosi elementi marmorei, soprattutto epigrafi, appartenenti al Museo. L’idea fu accolta con entusiasmo dall’Accademia delle Belle Arti, che incaricò Niccolini di redigere il progetto esecutivo ultimato nel 1826. Ma il progetto fu bocciato perché troppo ambizioso e costoso, ripiegando su uno più semplice che occupò l’intera fascia di terreno, da sempre chiamata Vanella tra il Museo ed il sovrastante convento di Santa Teresa. Così nel 1831, l’architetto Pietro Bianchi ricevette l’incarico per disegnarne la pianta: l’area fu suddivisa in quattro grandi aiuole circondate da vialetti basolati, destinate ad accogliere, in maniera simile agli altri due giardini interni, frammenti marmorei antichi: questa sistemazione rimase immutata fino agli inizi del secolo successivo.

Pianta dell’architetto Pietro Bianchi del 1831

Sul finire degli anni Venti del Novecento fu costruito un nuovo edificio dalla forma allungata, chiamato ancora oggi Braccio Nuovo, destinato a ospitare una nuova sezione espositiva del Museo la “Sezione di Tecnologia e di Meccanica antica”, inaugurata nel 1932 dall’allora Soprintendente Amedeo Maiuri.

Terminato il Braccio Nuovo, per volere dello stesso Maiuri, fu realizzato un nuovo giardino dalle linee geometriche classiche fedele al concetto di accostare in armonia il verde e i marmi antichi, un luogo dove il visitatore poteva riposarsi dalla fatica di aver visto tante meraviglie.

Giardino fatto realizzare da Amedeo Maiuri sul finire degli anni Venti

Al centro del giardino trovò posto una fontana, riproduzione fedele e in scala di una piscina marittima che adornava una delle più sontuose ville romane a Formia: la presenza della fontana soddisfaceva due delle esigenze primarie del Museo quella decorativa e quella divulgativa scientifica.

La fontana al centro del giardino, copia fedele di una fontana di epoca romana che adornava una villa nei pressi di Formia

Coevi sono il colonnato in mattoni intonacati che reggeva un pergolato con viti e rose e il riposizionamento dell’Ipogeo di Caivano. [1]

Colonnato in mattoni intonacati che reggeva un pergolato con viti e rose

Non favorito da una posizione marginale rispetto alle esposizioni museali, il giardino è stato negli ultimi decenni ulteriormente marginalizzato e lasciato all’incuria così come l’edificio (il Braccio Nuovo) che vi si affaccia. Il cambio di direzione del museo voluto dal Ministero ha comportato un accelerazione dei lavori per il recupero delle strutture architettoniche del Braccio Nuovo ed una conseguente attenzione si è spostata sullo spazio aperto antistante che tutt’oggi mostra numerosi problemi.

La forma rettangolare, fortemente allungata in direzione est-ovest di questo spazio e l’assenza di elementi strutturali di riferimento quali le partiture del giardino otto-novecentesco esistente ed ora distrutto, hanno posto in luce le criticità da affrontare, fornendo numerosi spunti di riflessione divenuti poi la base per la progettazione.

Come già accennato lo spazio che sarà occupato dal giardino è stretto tra il Braccio Nuovo ed il retro del Museo da cui è separato grazie a una strada di servizio.

Le uniche tracce rimaste del precedente giardino sono rappresentate da un colonnato in mattoni intonacato (primi del ‘900) su cui in passato poggiava una pergola ornata da rampicanti, l’Ipogeo di Caivano[2], ricostruito qui nello stesso periodo del colonnato e una ricostruzione di una peschiera di epoca romana ora coperta dal basamento su cui poggia una grande teca espositiva in vetro e metallo; oltre a questi elementi architettonici rimangono, a testimonianza dell’apparato vegetale del precedente giardino, tre grandi palme della varietà Washingtonia sp. disposte in linea sul fronte del Braccio Nuovo.

Posizione dei giardini del MANN

La situazione odierna è ‘di lavori in corso’: il giardino da qualche anno è sede del cantiere del Braccio Nuovo, proprio per questo motivo la problematica principale è stata come affrontare una progettazione d’insieme ed una realizzazione per parti del giardino; la necessità di dividere il giardino in lotti da realizzare in periodi differenti è strettamente legata al procedere dei lavori sulla struttura edilizia.

Tuttavia è stato realizzato un progetto di massima di tutto il giardino a cui stanno seguendo a partire dai primi mesi del 2017 le fasi di progettazione definitiva ed esecutiva suddivise in tre stralci. Il primo stralcio progettuale è stato realizzato nel 2017 con l’inaugurazione della prima parte di giardino a luglio dello stesso anno, nello spazio compreso tra il laboratorio di restauro e la teca espositiva. Il secondo stralcio del giardino sorgerà nell’area dove c’era la teca di cristallo ora dismessa e verrà inaugurato nella primavera del 2019; per la terza parte sarà necessario aspettare la fine dei lavori del Braccio Nuovo.

Tra le criticità affrontate nella progettazione di tutto il giardino, la più significativa è stata sicuramente la differenza di quota tra lo stato attuale di questo grande spazio (più in alto) ed il marciapiede del Braccio Nuovo (più in basso) recentemente realizzato, che ha portato a delle scelte progettuali precise tenendo in conto anche il dislivello tra i due estremi più lontani del giardino.

Altro elemento critico è la presenza delle palme ‘storiche’ che hanno visto abbassarsi il livello del terreno attorno all’apparato radicale, in concomitanza dei lavori al Braccio Nuovo: si è venuto a creare un colletto, per ciascuna palma, di dimensioni e altezza considerevoli, che ha suggerito scelte progettuali mirate. Infine, altro elemento rilevante è la presenza di marmi e colonne di varie forme e dimensioni, accatastati in diverse parti di questo grande spazio forse in attesa di una nuova collocazione e per le quali sarebbe interessante proporne il riutilizzo, almeno in parte, là dove possibile.

Criteri delle proposte progettuali ed inserimento nel contesto

I giardini che nascono in spazi come cortili di musei o altre strutture non hanno la forte esigenza di legarsi al contesto urbano poiché essendo ‘spazi chiusi’, spesso rappresentano un microcosmo  che può essere interpretato in maniera discrezionale.

Mentre per i due giardini del museo recentemente restaurati il riferimento storico e temporale è stato piuttosto immediato e ben riconoscibile (nonostante abbiano subito cambiamenti nel corso dei secoli) ed il progetto di valorizzazione si è concentrato sul recupero dell’esistente spogliandolo del superfluo e dando a ciascuno una propria identità, il terzo giardino o giardino Vanella ha richiesto un lavoro di lettura dei segni ancora più accurato.

La sua collocazione lo ha reso più vicino al contesto cittadino che a quello museale anche se è stato sempre fortemente legato ad esso per i contenuti; a rendere più netta questa divisione è la strada di servizio che si pone come una cesura tra le due parti del Museo legando il giardino al Braccio Nuovo che a sua volta è strettamente legato allo spazio verde retrostante con cui confina. Si viene a creare un nuovo sistema verde che si aggiunge ai due giardini attorno all’atrio ed un collegamento spontaneo con la città: è proprio questo il concetto che sta alla base dell’idea progettuale.

Ispirandosi a quanto voluto dalla nuova direzione museale e cioè di aprire il museo alla città e ai cittadini, l’idea progettuale di fondo è di far entrare la città nel museo o meglio nel giardino creando con essa un legame ideale che si basa sullo schema strutturale di fondazione della città, l’impianto ippodameo tutt’oggi ben visibile nel sistema viario cittadino[3].

L’impianto magnogreco della città di Napoli

Napoli ha origini greche, testimonianze di questo passato affiorano in molte parti della città e tutt’oggi è leggibile l’impianto viario antico. Il sistema greco prevedeva uno schema stradale ortogonale in cui tre strade (i decumani di epoca romana), le più larghe e grandi (circa sei metri) parallele l’una all’altra, chiamate plateiai, attraversavano l’antico centro urbano suddividendolo in quattro parti.

Tali vie principali venivano tagliate perpendicolarmente, da nord a sud, da altre strade più piccole (larghe circa tre metri) chiamate stenopoi o più impropriamente “cardini”, le quali tutt’oggi costituiscono i vicoli del centro storico cittadino. La rete stradale dunque, risulta essere caratterizzata di fatto da strade principali (plateiai) e strade secondarie (stenopoi) che combinate tra loro, dividono lo spazio in isolati quadrangolari regolari.

La Napoli romana

I tre decumani o plateiai vedevano nelle due laterali una similitudine mentre la centrale risultava essere più grande rispetto alle altre due e rappresentava per l’appunto la via più importante della città antica.

       Il sistema stradale antico di Napoli oggi è rimasto sostanzialmente invariato avendo in alcuni punti un livello massimo di corrispondenza rispetto alla struttura originaria, mentre, in altri, un livello più basso per via di modifiche, talune volte radicali, che ha subito col tempo l’antico assetto urbano.

Napoli oggi vista dal satellite

A questo proposito è stato ripreso lo schema ippodameo e riportato nello spazio della Vanella dove, tenendo come elementi di riferimento i muretti in mattoni esistenti, l’Ipogeo di Caivano, il colonnato e la fontana, si verrà a creare un luogo nuovo, moderno nelle linee perché si distacca dagli stilemi ottocenteschi del precedente giardino ma allo stesso tempo sarà uno spazio legato al passato della tradizione greca e romana esposte nel Museo. Tutto il giardino sarà al livello del marciapiede del Braccio Nuovo, questo per permettere una percorrenza in toto degli spazi abbattendo così le barriere architettoniche.

Il nuovo viale (plateia) o decumano principale segue l’andamento est-ovest e attraversa il giardino costituendone l’asse principale e collegandone i due estremi più lontani; nel punto centrale si trova la fontana che connota l’accesso principale al Braccio Nuovo. Ortogonalmente ad esso scendono viali secondari (stenopoi o cardini) di dimensioni più piccole che portano alle entrate dei vari ambienti dell’edificio; le insulae che affiorano da questo intreccio di linee sono spazi liberi che verranno trattati a prato o con arbusti e fioriture. Sedute in pietra lavica ed elementi marmorei, soprattutto blocchi di marmo semilavorati di epoca romana, provenienti da cave estinte e tuttora conservate al MANN, faranno da arredo al giardino illuminato di notte da una luce calda e soffusa, simile a quella delle candele, che assieme al profumo dei fiori notturni accompagnerà chi visita il giardino.

La parte centrale principale sarà completamente pavimentata in modo da permettere una maggiore libertà di fruizione degli spazi sul fronte principale dove è l’accesso all’auditorium, mentre lo spazio accogliente del colonnato su cui verrà ri-allestita una pergola con rampicanti (piante di vite di varietà campane e rose), ospiterà un luogo dove sedersi per sostare o lavorare, seguendo la vocazione ancestrale di riposo che suggerisce questa struttura.

 La prima parte del giardino

La prima parte del Giardino della Vanella è stata dunque inaugurata nel luglio 2017 ed è stata denominata provvisoriamente ‘Giardino del Restauro’, poiché si trova davanti al laboratorio di restauro del Museo. È uno spazio di modeste dimensioni (200 mq circa) vincolato, fino a qualche settimana fa dalla presenza di una grande teca espositiva in cristallo e acciaio sul lato ovest; dal mese di luglio 2018 sono iniziati infatti i lavori di smantellamento della teca e del suo basamento che si concluderanno entro la fine di settembre 2018, aprendo così alla possibilità di iniziare i lavori per  la seconda parte del giardino.

L’accessibilità totale al giardino comincia da qui con il viale principale posto a livello della strada e sempre in questo punto iniziale, è maggiormente visibile il concetto di continuità tra passato e presente: i basoli in piperno con cui è stata realizzata la strada di servizio proseguono nella prima delle insulae divenendo il punto di accesso carrabile ai laboratori per le opere che devono essere restaurate. Il viale principale (largo 3,00 m) ed i viali secondari ortogonali (larghi 2,00 metri) sono realizzati in lastre di pietra grigia.

Le altre insulae sono occupate da una superficie a prato in cui sono stati piantati un melo da fiore (Malus ‘Red Sentinel’) e un esemplare di Cestrum nocturnum che profumerà soprattutto di notte il piccolo giardino illuminato in maniera soffusa e discreta. Piante di arancia amara (Citrus x aurantium), di Rosa ‘Iceberg’ ed erbacee a fioritura stagionale sono state sistemate lungo il muretto in mattoni che è stato opportunamente ripulito e recuperato.

Il problema dell’apparato radicale scoperto della palma presente in questa porzione di giardino è stato risolto con l’inserimento di una struttura (fioriera) in acciaio corten di forma quadrata opportunamente dimensionata; panchine in legno arredano due punti del giardino lungo il muretto di mattoni al termine dei viali secondari.

L’intento perseguito nella progettazione di questa porzione di giardino, come del giardino nel suo complesso, è quello di diventare un punto attrattivo (come è accaduto per gli altri due giardini) non solo per chi visita il museo o per chi vi lavora ma anche per chi utilizzerà i servizi offerti dal Braccio Nuovo con il suo auditorium, il ristorante con chef stellati e la cavea per spettacoli all’aperto sulla sommità della copertura.

Dovrà divenire un luogo di ritrovo, un luogo dove sostare, lavorare, leggere, parlare, passeggiare; uno spazio didattico dove conoscere il passato ed il presente attraverso la conoscenza degli elementi esposti o utilizzati per fare il giardino stesso che al suo interno sarà completamente percorribile da tutti. Sarà quindi un valore aggiunto per il museo.

[1] A. Milanese, Per un museo più verde. Storia dei giardini del Museo Nazionale di Napoli in Quaderni del MANN. Mito e Natura, approccio multidisciplinare tra antico e presente, Electa 2018.

[2] Si tratta di una tomba romana affrescata rinvenuta a Caivano nel 1923 e poi trasportata presso il Museo Archeologico Nazionale di Napoli; si tratta di una tomba gentilizia databile tra il I sec ed il II sec. d.C. che si configura come una camera a pianta quadrata coperta da una volta a botte che presenta lungo le pareti dei letti funebri dove venivano deposti i defunti. L’interno è completamente affrescato con scene di paesaggi idillico-sacrali.

[3] Ippodamo di Mileto (Mileto ?, 498 a.C. – 408 a.C.) è stato un architetto e urbanista greco antico. Si tratta del primo architetto, di cui ci sia giunto il nome, ad utilizzare e teorizzare schemi planimetrici regolari nella pianificazione delle città. A lui viene attribuito lo schema ortogonale, detto appunto schema ippodameo che caratterizza alcune città di nuova fondazione (colonie) del mondo greco tra V e IV secolo a.C., tra cui famoso quello di Alessandria, di sua derivazione.

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Silvia Neri

Architetto, si è laureata a Firenze con una tesi sul Parco Archeologico di Cortona (AR) con 110/110 e lode, si è diplomata (110/110) nel 2009 al Master in Paesaggistica presso l’Università degli Studi di Firenze con una tesi sulla riqualificazione paesaggistica della villa romana di Ossaia (Cortona), divenendo a pieno titolo una paesaggista. Iscritta all’OAPPC di Arezzo, socia AIAPP dal 2010 e dal 2016 vicepresidente AIAPP per la sezione Toscana-Umbria-Marche, vive a Cortona (AR) e dal 2008 si occupa del progetto di giardini, spazi aperti storici e contemporanei, riqualificazione paesaggistica di aree archeologiche, sia come libero professionista che attraverso collaborazioni e consulenze con enti pubblici e privati. Nel 2015-2016 si è occupata, assieme al professor Aldo Ranfa, botanico dell’Università di Perugia e al prof. Curgonio Cappelli già ordinario di patologia vegetale presso Università di Perugia, del restauro dei giardini storici del Museo Archeologico di Napoli e dei giardini di 5 domus di Pompei. Nel 2016 le è stato affidato l’incarico per la progettazione ed il recupero del terzo giardino del MANN posto di fronte al braccio nuovo, una splendida occasione per legare il museo alla città ed amplificarne la connotazione verde. Si occupa anche di allestimento di stand espositivi sempre connotati dalla sua passione per il verde e la natura (stand per il MANN a Tourisma Firenze 2015 e 2016, stand per il MANN alla Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico di Paestum). Ha frequentato numerosi corsi di formazione nell’ambito dell’architettura, del paesaggio e dei beni culturali. La sua grande passione per la natura, l’architettura e l’archeologia l’hanno portata a realizzare il sogno di lavorare in questi campi, tutti racchiusi in quel grande contenitore che è il paesaggio. Attualmente lavora tra Cortona, dove risiede ed ha il proprio studio professionale, e Napoli dove si occupa dei giardini del MANN.

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