Nutrire il corpo, nutrire l’anima nel Medioevo

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Anche  quando si tratta di cibo, il Medioevo presenta aspetti assai interessanti, alcuni a noi ancora vicini, altri così remoti da risultare quasi esotici al nostro gusto. Di quell’epoca, prima della svolta colombiana e priva di molti ingredienti delle nostre moderne diete, conserviamo parole, prodotti, modi di cucinare, di cui spesso si ignora la provenienza.

Noi italiani al mattino facciamo colazione, senza ricordarci del breve pasto serale dei monaci accompagnato dalla letture delle Collationes di Cassiano, come prescriveva la Regola di S. Benedetto; ci può capitare di gustare squisite pietanze, senza considerarle un atto di pietas, compiuto da chi offriva un cibo da dividersi in due; trascorriamo ore liete con dei buoni compagni (cum pane, chi condivideva lo stesso cibo); cuciniamo uova a la coque (affogate in aqua cocta), assaggiamo la ricotta (il recottum lac in uso a Cluny). Si beve la birra, della cui invenzione raramente si ringraziano i ‘barbari’ con la loro cervogia e i monaci benedettini; e ci si rallegra col vino, di cui c’era bisogno anche per la Messa, e perciò la coltivazione della vite si diffuse anche molto a nord; usiamo ancora le spezie e le erbe aromatiche, molto apprezzate nel Medioevo e usate anche per la cura dei malati. Può anche capitare, in qualche regione, di assaggiare dei mostaccioli simili a quelli che Jacopa dei Settesoli portò a Francesco, poco prima della sua morte, e possiamo mangiare focacce (gli sformati posti sotto la cenere del focus), torte (pane tondo) e grissini (da gresa, grasso).

Tra i saggi anche l’ultimo controbuto di Umberto Eco dal titolo Il cibo e la fame nel Medioevo dove si legge: Può darsi che alla corte borgognona si mangiasse come alla corte medicea e anche meglio, e peggio per tutti quei baroni che addentavano cinghiali allo spiedo morendo poi di gotta, mentre i loro contadini non rischiavano né uricemie né iperglicemie, né diabete da obesità, anche perché queste sono malattie da persone anziane e un contadino non superava di regola i quarant’anni. Ricordo anzi una chiesa in cui
chi si recava in pellegrinaggio poteva miracolosamente raggiungere la quarantina. Che la vita cominci a quarant’anni, come diceva con melanconico ottimismo mia mamma quando aveva raggiunto quell’età, i
contadini medievali non lo sapevano, ovvero a quarant’anni iniziava, se tutto andava bene, la vita eterna.

Chiara Crisciani insegna all’Università di Pavia. Le sue ricerche vertono sugli sviluppi del pensiero scientifico medievale, in particolare sull’andamento della medicina scolastica e dell’alchimia latina.
Onorato Grassi insegna alla Lumsa di Roma e all’Università Cattolica di Milano. I suoi studi sulla filosofia medievale riguardano le teorie della conoscenza nel secolo XIV, i rapporti fra teologia e filosofia, la storia dell’agostinismo.

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